«Iprocessi si fanno per accertare la colpevolezza, ma se si parla di situazioni di malcostume, come ha fatto Tajani, e allora è inutile fare i processi. In base a una logica simile, è facile affermare già in anticipo sulle sentenze, che certe persone si dedicano a comportamenti criminali». Lo dice Gaetano Pecorella, past president dell’Unione Camere penali che, da deputato, ha guidato la commissione Giustizia ed è stato un paladino del garantismo in Forza Italia. La stessa FI che ora, sui casi Bari e Torino, stenta a riconoscere.

Presidente Pecorella, dopo le indagini di Bari e Torino il Pd parla di codice di condotta per i propri iscritti, mentre anche i più garantisti sembrano aver ceduto almeno in parte a condanne anticipate: che ne pensa?

Penso che per la magistratura italiana non sia certo una novità prendere di mira la classe politica. Come al solito le inchieste vengono fatte in un’unica direzione, ma a parte ciò quel che colpisce è che le forze politiche utilizzino gli interventi della magistratura come strumenti politici di aggressione, attacco e delegittimazione della parte avversa. Penso sia un gravissimo errore per più ragioni, e la prima è che non basta un’inchiesta per dare del colpevole a un soggetto.

FI sembra essersi convertita a una sorta di “garantismo ma…”, e Tajani parla di malcostume diffuso: se l’aspettava?

Non è nemmeno una questione di garantismo, ma di buonsenso. Se i processi si fanno, li si fanno per accertare la colpevolezza. Ma se si parla di situazioni di malcostume, come ha fatto Tajani, allora è inutile fare i processi. Si può affermare già prima, che certe persone si dedicano a comportamenti criminali. Insomma, sono modi di fare comuni a tutti i partiti, nessuno escluso, che dimenticano l’esistenza di una norma costituzionale secondo la quale nessuno può essere ritenuto colpevole fino a sentenza definitiva.

Lei dice che strumentalizzare le inchieste è un errore per più ragioni: quali sono le altre?

Un’altra è che è assurdo dire che ci sono settori politici affetti da malcostume perché il sindaco di un paese viene arrestato o indagato. Questo significa fare un uso strumentale della magistratura, e arriva dagli stessi che poi si lamentano della magistratura che fa politica. Certi uomini di partito, anziché dire che nessuno può essere ritenuto colpevole fino a sentenza definitiva, preferiscono cavalcare l’onda: il risultato è che un’iscrizione nel registro degli indagati o un rinvio a giudizio significano automaticamente dimissioni.

Nel caso della ministra Santanché si parla di dimissioni nel caso in cui venisse rinviata a giudizio…

Attenzione, anche il rinvio a giudizio non significa nulla. Quando ci saranno almeno una sentenza di primo grado, il ministro si potrà dimettere per buonsenso, ma certo non dovrebbe farlo prima. Ricordo che durante Mani pulite fu assolto un gran numero di politici, che nel frattempo videro andare all’aria la propria immagine pubblica. Nessuno si preoccupò di aspettare le prove e le sentenze. E non è detto che sia giusto utilizzare politicamente la sentenza di condanna, perché dipende dal tipo di reato e da un accertamento che non lascia dubbi. La condanna definitiva impone poi le dimissioni, ma penso che chiederle prima sia un grave errore, soprattutto per Forza Italia, che considerava gli attacchi della magistratura come attacchi alla politica, e che oggi invece utilizza certe affermazioni peraltro solo per la controparte.

Cosa è cambiato, da questo punto di vista, rispetto alla leadership di Berlusconi?

Credo che il fenomeno Berlusconi sia unico, perché da presidente del Consiglio e leader di partito è stato oggetto di una serie di incriminazioni finite tutte nel nulla, salvo in un caso peraltro molto particolare. Certo chi è leader di un partito non ha un ruolo facile perché deve trovare equilibrio tra consenso popolare e valori di fondo. Non lo dico per giustificare Tajani ma perché da Mani Pulite in poi gli altri partiti della maggioranza, cioè Lega e FdI, utilizzano la credibilità subordinata alle ipotesi di reato come strumento di lotta politica. La scelta che dovrebbe fare Tajani è tra la coerenza con i valori di Forza Italia, che sono gli stessi da sempre, e la ricerca di voti in un paese che certo non è garantista.

Quanto è difficile questa scelta, nel momento in cui si condivide il governo con Lega e FdI?

Il carattere nobile che aveva Forza Italia era quello di scegliere prima di tutto i valori di fondo sui quali era nata, quindi libertà, rispetto della Costituzione, diritti degli individui, grazie ai quali vinse. Ma oggi non è facile parlare di valori o rispetto dell’individuo in una società tendenzialmente autoritaria, dove chi ha maggior consenso ha le proprie radici, storicamente innegabili, in un periodo autoritario.

In tutto questo si inserisce la figura del ministro Nordio, che FI ha preso sotto la propria ala dopo che il guardasigilli sembra essere stato un po’ abbandonato da FdI: coma la vede?

Meloni aveva il problema di trasmettere al Paese un’immagine di libertà, venendo come detto da radici tutt’altro che liberali. E quindi, quando ci si è meravigliati della scelta di Nordio, non si è tenuto conto che era un modo per mettere una mano di vernice sul passato di FdI. Nordio, che è intelligente ma anche ambizioso, trovava in questo incarico la possibilità di realizzare le idee di riforma della giustizia che ha sempre sostenuto. Ma non ha calcolato che la sua immagine serviva a coprire il passato di FdI. A questo punto credo che Nordio farebbe una mossa intelligente se, rispetto alla separazione delle carriere, mettesse sul piatto le sue dimissioni. Solo in questo caso, forse, riuscirebbe a imporsi. Ma ci sarebbe anche un’altra riforma importante da fare.

Cioè?

È fondamentale adeguare la nostra Costituzione al processo accusatorio. Non possiamo avere un processo accusatorio con una Costituzione basata sul vecchio processo penale. Un uomo che crede nel suo impegno politico, o riesce a realizzarlo perché ha l’appoggio del suo partito o, in definitiva, se ne va perché non gli hanno permesso di arrivare fino in fondo.