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IMAGOECONOMICA
Se chiedete a dieci cittadini milanesi incontrati per strada se conoscono il Decreto sicurezza del governo, la gran parte rispenderà in modo negativo. Ma se chiedete agli stessi passanti se a Milano esiste un problema sicurezza, si apriranno rubinetti infiniti di lamentale, proteste e racconti di episodi subìti o conosciuti.
Di furti in appartamento e scippi per strada, vi parleranno, soprattutto, perché la sofferenza è tanta in questa città, e ormai molto diffuso il timore di subire violenza. Le persone meno giovani sono restie a uscire la sera e i genitori si pongono il problema se andare a recuperare i recalcitranti figli per non farli tornare soli la notte. Se poi chiedete perché la percezione di insicurezza e paura sia più sentita a Milano che altrove, vi risponderanno che è perché qui ci sono più soldi, o per lo meno che molti, soprattutto immigrati, ritengono che sia così e quindi vengono a delinquere qui.
Lo dicono, benché la gran parte dei milanesi non sia razzista. Ma è capitato già due volte, e per combinazione sempre nello stesso quartiere di piazzale Corvetto, che un ragazzo di seconda generazione sia finito ammazzato con il motorino per sfuggire al controllo delle forze dell’ordine. Ragazzo che scappa, uguale pericolo per la comunità, pensano i cittadini. E Milano è capitale d’Italia nell’avere sei linee di métro, le ultime due sono persino senza guidatore, un bel motivo di orgoglio per il progresso.
Ma su quei vagoni vediamo persone che stringono al petto borse e zainetti perché ci sono mani lunghe di borseggiatori sempre in attività. Così di nuovo gli anziani, che nel capoluogo lombardo sono il 30% della popolazione, sui mezzi pubblici non vanno, a piedi neanche e il taxi costa caro, quando c’è. Eppure le statistiche Istat ci dicono continuamente che i reati sono in diminuzione, persino gli omicidi, e che l’Italia è il Paese più sicuro d’ Europa.
Chissà se il provvedimento del governo li renderà più sicuri, questi cittadini impauriti. E se servirà, almeno sul piano della percezione. Ma sappiamo tutti benissimo, ma l’argomento rimane confinato nelle premesse delle proposte di legge, che il vero antidoto ai “reati di strada”, estendendo il concetto a tutto quel che si vede, è lo sviluppo delle politiche sociali. Che i governi di qualunque colore politico e il parlamento, prima di dedicarsi a moltiplicare il numero delle leggi e addirittura il numero dei reati, dovrebbero sostenere con un’ampia delega e ancor più robusto finanziamento, agli enti locali.
E’ al sindaco, prima ancora che al questore o al prefetto, che la gran parte dei cittadini attribuisce, sbagliando, la responsabilità per la propria insicurezza dal punto di vista delle violenze e dei reati che vengono subiti. Ma avrebbe invece ragione a rivendicare dal sindaco un maggior intervento amicale, culturale ed economico, prima ancora che assistenziale, come premessa indispensabile per la sicurezza e l’armonia dell’intera comunità. E’ questo che, per tornare a Milano, è crollato da troppo tempo. E per la stessa ragione sembra sempre di essere in attesa dell’intervento salvifico che arrivi “dall’alto”, magari mandando più poliziotti.
Ma i governi - a partire dagli ultimi, il Conte uno e poi il Conte due fino ad arrivare a questi giorni - agguantano sempre il problema a partire dalla coda. E lo fanno maldestramente. Prima di tutto rispolverando quella che è una pessima abitudine della nostra giurisprudenza, cioè in pratica ispirandosi alla filosofia di una certa magistratura nella politica del “tipo d’autore”. Che significa: prima individuo la tipologia, la fisionomia dei soggetti che potrebbero commettere determinati reati e poi glieli attribuisco. Scimmiottando un po’ quel che fanno certi pm con il mondo della politica e degli amministratori locali, il pacchetto sicurezza del governo lo sta facendo oggi con la borseggiatrice, l’immigrato irregolare, il manifestante, il detenuto.
Aumenti delle pene, che in nessuna parte del mondo hanno mai contribuito alla diminuzione dei reati, si affiancano alla creazione di nuove fattispecie di reato. Il pericolo vero di questa frenetica attività legislativa (14 nuovi reati e inasprimento delle pene per 9 fattispecie già esistenti) è quello di ampliare in modo abnorme l’area di operatività del diritto penale. Il concetto stesso di reato, che è una convenzione, dettata da motivi storici e anche geografici, oltre che sociali e culturali, si dilata fino a comprendere un numero così esteso di comportamenti da far diventare totalizzante il diritto penale.
Si passa così dalla percezione dell’insicurezza, che è qualcosa di molto serio e umano e ha a che fare con il sociale, alla percezione del reato. E alla fine, alla richiesta di più pena, di più carcere. Cioè di una colossale iniezione di sedativo per stare più tranquilli ma un po’ addormentati. Mentre i problemi sociali rimangono tali e quali. O forse peggiorano. E un numero sterminato di soggetti, nei confronti dei quali si dovrebbe intervenire con una politica di maggiore inserimento, viene risucchiato dal mondo del diritto penale e di conseguenza della marginalità e della coazione a ripetere all’infinito gli stessi comportamenti. Fino al prossimo Decreto sicurezza.