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«Ma io amo la volgarità. Il buon gusto è morte, la volgarità è vita». Ottobre 1967, Mary Quant è già un’icona internazionale, e a chi l’accusa di aver dato vita a una moda “lasciva” sa bene come rispondere. Senza peli sulla lingua e senza stoffa sulle gambe: la minigonna che indossano le sue ragazze è già di tre o quattro pollici sopra il ginocchio. Sono loro, le giovani inglesi di King’s Road, ad aver inventato l’abito corto che gli stilisti di tutta Europa si contendono dagli anni ‘60. «Né io, né André Courrèges, abbiamo avuto l’idea della minigonna. È stata la strada ad inventarla», dirà Quant trent’anni dopo. Con il designer francese, a cui qualcuno attribuisce l’invenzione della “mini-jupe”, condivideva «la stessa logica, anche se creavamo moda per persone diverse». Lui per l’alta moda, lei per le «ragazze come me», che erano semplicemente stufe di «vestirsi come le loro madri».
La logica di cui parla la stilista britannica è insieme banale e rivoluzionaria: «Stavo facendo abiti semplici e giovanili, con cui era possibile muoversi, con cui si poteva correre e saltare e li avrei realizzati della lunghezza voluta dalla clientela. Io li indossavo molto corti e la clientela diceva “Più corti, più corti”». Si trattava di vestire comode, per prendere al volo l’autobus senza inciampare su metri di stoffa. Ma anche di essere sexy, di provocare, di cambiare quel paradigma che in breve tempo avrebbe trasformato Londra “da una oscura e sudicia capitale postbellica a un lucente epicentro di stile”. È la Swinging London, negli Swinging Sixties, di cui Mary Quant è icona indiscussa. Per la moda, come i Beatles lo sono stati per la musica: l’incarnazione di una nuova generazione che nella Gran Bretagna degli anni ‘60 vuole godersi la vita e cambiare le cose. Anche Mary Quant voleva cambiarle, e lo ha fatto: l’emancipazione e la liberazione femminile è passata anche dalle sue forbici. Anche se Quant non si è mai presa troppo sul serio. E anche se non ha mai voluto prendersi quel merito che tutti le riconoscono: soprattutto ora che la designer britannica è morta a 93 anni nella sua casa nel Surrey, nel sud dell’Inghilterra, chiudendo un’intera stagione di fermenti culturali che ci raccontano come siamo arrivati fin qui.
Nata l’11 febbraio 1930 a Blackheath, in un sobborgo di Londra, comincia a scrivere il suo futuro rompendo gli schemi che le avevano imposto: figlia di due professori gallesi della London University, scappa di casa a 16 anni perché non vuole fare l’insegnante. Se ne va a Londra e lì incontra Alexander Plunket Greene, nipote di Bertrand Russell, discendente di una famiglia nobiliare, che come lei sogna di vivere la bohème. Inizia un’intensa storia d’amore: i due mangiano quando possono, viaggiano spesso, fanno scandalo per l’abbigliamento fuori dall’ordinario. A Mary piacciono le gonne corte, gli stivaletti, e le calze spesse e colorate che presto tutti vorranno portare. I benpensanti le colpiscono con la punta dell’ombrello le gambe per strada: sono troppo scoperte.
Nel 1955 la svolta: la coppia apre con un amico una boutique di abbigliamento e accessori di nome Bazaar, nello scantinato del loro appartamento, sulla King’s Road. I benpensanti son sempre lì, bombetta in testa e bastone alla mano. Ora bussano alla vetrina del negozio per protestare contro quei manichini sgargianti ed eccentrici che Quant mette in mostra. “Immorale, schifoso!”, gridano per strada e sui giornali. Ma nel quartiere in pieno fermento di Chelsea le ragazze invece adorano lo stile di Mary e Alexander. La boutique diventa un punto di riferimento per giovani e artisti come Brigitte Bardot, Audrey Hepburn, i Beatles e i Rolling Stones. I ragazzi si allungano i capelli, le ragazze li accorciano. Tutte vogliono assomigliare a Twiggy, una parrucchiera di 17 anni che diventerà una delle prime top model teenager e simbolo del nuovo stile confezionato da Quant. Che oltre a rivoluzionare l’abbigliamento, lancia anche un nuovo trend con l’iconico taglio di Vidal Sasson: caschetto e frangia simmetrica.
Forte del sempre maggiore successo, la stilista apre un secondo negozio a Londra e comincia a collaborare con la catena americana di grandi magazzini JC Penney e lancia una linea, The Ginger Group, accessibile al grande pubblico. Per il resto della sua carriera continua a promuovere una moda ludica, senza snobismo, puntando su contrasti di colori, forme geometriche, giochi di materie e pois. A lei le donne di tutto il mondo devono gli short, gli impermeabili in plastica, e anche un nuovo stile di trucco: basta rossetto rosso e ombretto celeste, arrivano le lentiggini e le ciglia finte. Ma soprattutto le devono un nuovo modo di concepire se stesse, dall’abbigliamento alla vita privata e alla sessualità. Nel 1961 arriva la prima pillola concezionale e sono le donne, «solo loro», dice Quant, «a decidere se e quando concepire». Il potere è nelle loro mani, dal sesso ai vestiti. «La moda non ha niente a che vedere con l’età o la frivolezza, riguarda l’essere vivo, oggi», dice ancora Quant. Che aveva una sola regola: sii libera, sii te stessa.