Riconoscere la libertà di espressione anche sui canali social e in Paesi a deficit democratico. Nei giorni scorsi la Corte di Appello di Bologna ha espresso parere negativo sulla richiesta di estradizione presentata dalla Bielorussia relativa ad un cittadino di quel Paese, accogliendo tutti i motivi esposti dalle avvocate Darya Kondratyeva e Barbara Belloni del Foro di Milano.

Alla base della decisione dei giudici bolognesi la sussistenza di motivi politici che avevano animato la richiesta di estradizione delle autorità di Minsk con il concreto pericolo di violazione da parte dello Stato richiedente degli articoli 2, 3 e 6 della Cedu.

«Davanti alla Corte d’appello di Bologna – dice al Dubbio l’avvocata Kondratyeva – abbiamo affrontato uno dei numerosi casi in cui Stati dittatoriali come la Bielorussia tentano di velare la persecuzione per motivazioni politiche, come se si trattasse di un reato comune. Nello specifico, si è trattato della vicenda di un cittadino bielorusso che si è opposto al regime di Lukashenko con la partecipazione ad alcune manifestazioni pubbliche, aprendo e gestendo un canale Telegram sul quale pubblicava i contenuti social e politici. Per questo specifico motivo la Bielorussia ha deciso di punire il mio assistito, chiedendo l’estradizione».

A fondamento della richiesta di estradizione, come spiega Kondratyeva, infatti, vi era un presunto procedimento penale pendente in Bielorussia per gli stessi fatti per cui il soggetto in questione era già stato condannato in Russia e aveva scontato la pena, essendo stato, peraltro, precedentemente sottoposto ai lavori forzati in violazione delle previsioni della Cedu.

La Corte d’appello di Bologna ha negato il ritorno in Bielorussia, avendo preso in considerazione il quadro politico molto simile - per non dire peggiore - alla Russia. «In Bielorussia – commenta l’avvocata Kondratyeva - gli arresti e le condanne nei confronti degli oppositori politici sono all’ordine del giorno. Non solo, bersagli delle persecuzioni diventano persino soggetti socialmente attivi, operatori culturali, ma anche qualsiasi persona che osi avere un’opinione contraria a quella del governo di Lukashenko. Tutti i social sono minuziosamente controllati dalle forze dell’ordine». La conseguenza? Il rischio concreto di essere perseguiti per “estremismo” con un semplice like in un post apparso sui social.

L’abbraccio mortale con Mosca ha praticamente allontanato Minsk dall’Europa. Una condizione che, considerato quanto sta avvenendo, durerà ancora a lungo con scenari tutt’altro che confortanti. «Non dimentichiamo – osserva Darya Kondratyeva - che la Bielorussia è l’unica nazione europea nella quale ancora oggi vige la pena di morte. Va aggiunto anche che dall’ottobre 2020 l’Unione europea ha imposto gradualmente misure restrittive nei confronti della Bielorussia proprio in relazione alla violenza esercitata dalle autorità contro manifestanti pacifici, alle intimidazioni, agli arresti, nonché in considerazione dell’aperto supporto fornito alla Russia durante la guerra in Ucraina. Peraltro, la Bielorussia non aderisce alla Convenzione Europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, che impone il rispetto dei fondamentali e inviolabili diritti dell’uomo durante le procedure estradizionali.

La Bielorussia non fa nemmeno parte del Consiglio d’Europa e questo fa sì che i cittadini non possano ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per denunciare la violazione di diritti umani subiti. I soggetti giudicati in Bielorussia sarebbero privi della possibilità di essere sottoposti ad un giusto processo con un giudice indipendente ed imparziale.

In sostanza, la Corte d’Appello di Bologna ha ritenuto concreto il pericolo che, qualora fosse stato estradato in Bielorussia, il nostro assistito potesse subire le violazioni dei diritti di cui agli articoli 2, 3 e 6 della Cedu ovvero il pericolo per la vita, il pericolo di non potere avere un giusto processo e il pericolo di essere sottoposto a torture e trattamenti disumani». Ultimo ma non ultimo i numerosi report che indicano la Bielorussia in coda alle classifiche sulla libertà di espressione.

«La Corte d’appello di Bologna – conclude l’avvocata Kondratyeva - si è basata anche sulle numerose fonti aperte prodotte dalla nostra difesa e ritenute attendibili. In particolare abbiamo citato i recenti report di Amnesty International, le Risoluzioni del Parlamento europeo, i pareri degli esperti delle Nazioni Unite in cui si fa riferimento ad arresti di massa di manifestanti pacifici, sottoposti a torture e privati di cibo, acqua e cure mediche».

Il cittadino al centro della decisione dei giudici di Bologna può tirare un sospiro di sollievo e, forse, guardare al proprio futuro di europeo con un po’ più di ottimismo. Diversa la condizione di chi vive in Bielorussia, dove un altro padre-padrone, Alexander Lukashenko, domina incontrastato da trent’anni, senza possibilità per altri di affacciarsi sulla scena politica di Minsk e dintorni. Qualche anno fa Lukashenko espresse così il suo punto di vista: «Non mi importa niente di quello che pensa l’Unione europea. Non è stata l’Ue ad eleggermi».