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Associated Press/LaPresse
Allo State Farm Stadium di Glendale (Arizona), teatro di tre Super Bowl, fervono i preparativi per la cerimonia di domenica per ricordare Charlie Kirk, l’attivista assassinato lo scorso 10 settembre in un dibatto pubblico all’università dello Utah. Si chiamerà Building a Legacy, Remembering Charlie Kirk, sono attesi migliaia di attivisti e i principali esponenti della destra MAGA, Donald Trump in primis.
Sarà un evento «grandioso», promette lo stesso presidente, uno show mediatico-politico da ricordare per intere generazioni, la canonizzazione pubblica del protomartire della nuova destra americana. Ma anche una tragedia da sfruttare per imprimere ancora più forza all’azione politica del presidente Usa che ieri ha minacciato la proclamazione dello stato d’emergenza nella città di Washington. Ed è a questo intreccio tra propaganda politica interessata e commozione reale che bisogna guardare per cogliere il senso della beatificazione di Kirk.
«Dio aveva altri piani per lui», aveva detto J-D. Vance, amico personale di Kirk, poche ore dopo il suo assassinio. Il vicepresidente ha accompagnato il feretro da Salt Lake City a Phoenix a bordo dell’Air Force One visibilmente turbato e le sue parole intrise di misticismo messianico offrono alla comunità MAGA il linguaggio della fede assieme a quello del lutto. Vance, da scrittore di talento qual era, interpreta il bisogno di sacralità di una base che non vede nella morte di Kirk solo un omicidio, ma il sacrificio di un eroe e di un patriota.
È questa tonalità mistica da raduno collettivo a rendere la cerimonia del 21 settembre qualcosa di più di un funerale: un rito di massa in cui una comunità politica si riconosce, si unisce e rafforza la propria identità. Forse proprio quella «Woodstock al contrario» evocata più volte dallo stesso Kirk che sognava una rivoluzione conservatrice per la gioventù americana.
Lo stadio aprirà le porte alle otto del mattino, con l’inizio ufficiale degli interventi fissato per le undici. Una scaletta pensata per accogliere decine di migliaia di persone, con registrazioni online e accesso regolato fino a esaurimento posti.
Donald Trump sarà naturalmente il protagonista assoluto della giornata. La sua presenza, annunciata con enfasi, darà alla cerimonia il rango di evento fondativo. L’ex presidente, che ha definito la morte di Kirk «un attacco all’America stessa», ha ordinato bandiere a mezz’asta e ha promesso di celebrare il giovane attivista come un patriota caduto in battaglia. Per lui e per la sua base, l’immagine del martire è un’arma da sbattere in faccia agli avversari: serve a rafforzare l’idea di un movimento sotto assedio (gli immigrati? gli antifasciti?), a cementare la fedeltà dei sostenitori, a trasformare il dolore in energia politica se mai ce ne fosse bisogno nell’epoca della destra trionfante.
Ma sarebbe riduttivo vedere in tutto ciò solo un calcolo propagandistico una cinica operazione per aumentare il consenso. Il trauma nella base e nei vertici MAGA è reale, palpabile nelle parole e nei messaggi degli attivisti, che parlano di Kirk come di un «guerriero della fede, della famiglia e della libertà», stravoti dalla morte violenta del loro paladino.
Ogni comunità politica si è sempre nutrita dei propri caduti e la commemorazione è un evento centrale per la crescita di quella comunità. Dalla rivoluzione francese alle lotte del movimento operaio, dai martiri risorgimentali alle figure della resistenza, ma anche tra le fila degli “sconfitti” della Storia il ricordo di chi muore per la propria tribù è un collante identitario; la brutale uccisione di Kirk non fa eccezione e darà occasione all’America trumpiana di celebrare se stessa e di compattarsi contro il “nemico”.
Nelle parole del tycoon e degli altri leader torneranno i temi dell’assedio: i confini da difendere, i media ostili, la sinistra accusata di complicità morale con la violenza. La morte di Kirk diventa così la prova che la battaglia è reale, che il nemico non è un fantasma agitato nei comizi ma una forza che colpisce davvero, poco importa che a ucciderlo sia stato un social confuso tutt’altro che di sinistra.
Il sito memoriale dedicato a Kirk, fightforcharlie.com, invita i sostenitori a «rendere omaggio alla vita straordinaria e l’eredità duratura di un’icona americana». Turning Point USA, l’organizzazione che lui stesso aveva fondato a soli diciott’anni, ha diffuso il programma come fosse un pellegrinaggio collettivo per celebrare i propri valori: fede, famiglia e libertà. La vedova Erika ha promesso di portare avanti quell’opera, confermando che i tour universitari che lo hanno reso una star planetaria riprenderanno presto. In questa narrazione, Kirk diventa ciò che i militanti chiamano un “primo testimone”, colui che apre una strada con il proprio sacrificio.
Domenica allo State Farm Stadium non si assisterà a un semplice funerale, ma a una canonizzazione laica. La platea di Glendale, le bandiere a mezz’asta, le preghiere e i discorsi politici comporranno il mosaico di un’America conservatrice che vuole mostrare la propria forza e legittimarsi attraverso il dolore. Charlie Kirk sarà ricordato come il primo martire di una generazione, il simbolo di un sacrificio che non si consuma nel silenzio, ma diventa narrazione collettiva. La beatificazione politica di un caduto che, nella retorica dei suoi, continuerà a vivere come guida spirituale e politica.