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Giovedì è morto Stefano Gheller. Aveva la distrofia muscolare e le sue condizioni erano peggiorate velocemente e irrimediabilmente in questi ultimi giorni. Aveva compilato le disposizioni anticipate di trattamento e le sue volontà sono state rispettate.
Qualche mese fa al Corriere del Veneto, commentando la risposta positiva alla richiesta di poter accedere al suicidio assistito in Italia, aveva detto: “Da quando ho avuto l’approvazione mi sento molto più sereno: sono felice perché mi hanno riconosciuto un diritto. Quando vorrò potrò attivare le procedure per stabilire la mia morte, qui con i miei cari. So che sembra strano ma poter mettere fine alla propria vita, avere la possibilità di scelta, fa stare meglio le persone che soffrono e migliora la qualità del loro tempo”.
No, non sembra strano. È una risposta comune e facilmente comprensibile: la possibilità di poter scegliere ha un effetto rasserenante e rassicurante. Non aggiunge angoscia agli effetti della tua malattia. Non ti fa sentire ancora più incastrato nell’immobilità e nelle sofferenze.
Gheller aveva beneficiato della sentenza 242 della Corte costituzionale e avrebbe potuto ricorrere al suicidio assistito a casa sua. Lo scorso giugno, con Marco Cappato, aveva depositato più di novemila firme a sostegno della proposta di legge regionale “Liberi subito”.
Il 16 gennaio il consiglio regionale del Veneto non l’ha approvata e l’ha rimandata in commissione, ma il discorso del presidente Luca Zaia è un pezzo di politica che da allora non faccio che consigliare a tutti. Quella legge regionale proposta dall’Associazione Luca Coscioni vorrebbe solo garantire dei tempi certi entro cui le Asl devono rispondere alla richiesta delle persone. Non aggiunge diritti, non ci permette di morire quando e come ci pare. È uno strumento per applicare una sentenza della Corte costituzionale che ha già valore di legge e che già stabilito quando l’aiuto al suicidio assistito è legittimo.
Sono mesi che cerco di capire perché ci si dovrebbe opporre a una legge del genere. Voglio dire, escludendo le cattive intenzioni e il fare finta di non aver capito, per quale motivo si può pensare e dire che non sia giusto stabilire un termine entro cui il servizio sanitario ci deve rispondere?
Facciamo un esempio che non riguarda la possibilità di decidere di morire. Una sentenza della Corte ci dice che possiamo usare una bicicletta elettrica in determinate circostanze e che quelle circostanze dovranno essere verificate da Mario. Però non dice entro quanto tempo Mario deve farlo e quindi Mario non ci risponde, si scorda, rimanda, dice che invece è dovere di Giovanni e noi dobbiamo ricorrere ad avvocati, diffide, denunce. Forse a quel punto Mario si degnerà di risponderci ma magari sono passati mesi, perfino anni. Che diritto è un diritto procrastinabile indefinitivamente? Sembra essere la strategia di Padre Pizzarro quando suggerisce a chi vuole abortire di tornare tra nove mesi.
L’altro giorno Eugenia Roccella non ha solo detto che le sembra che questa proposta di legge intenda forzare la sentenza (non è chiaro come perché la ministra non si affatica a spiegarcelo), ma che in fondo pure per una Tac ci può volere un sacco di tempo e che “deriva dall’organizzazione, non penso serva una delibera ad hoc”. Pare il gioco delle tre carte.
Intanto quelle persone che si trovano in condizioni simili a Gheller devono ricorrere ad avvocati, diffide, denunce per ottenere quello che è – o che dovrebbe essere – un nostro diritto: la verifica delle condizioni stabilite dalla 242.
Gheller voleva scegliere, e scegliere vuol dire anche che una volta ottenuto un diritto lo si rimanda, si cambia idea, non lo si usa. Non sappiamo cosa avrebbe fatto, ma non importa. Quello che importa è che quella libertà gli era stata garantita e che questa libertà dovrebbe essere garantita a tutti. Il diritto di poter scegliere quando morire era solo uno dei diritti che Gheller aveva a cuore. Come ha scritto Luca Zaia la sera del 22 febbraio “Debbo dire che è stato sempre un grande sostenitore delle libertà. È stato una persona che ha amato la vita. Ricordo quando nel nostro primo incontro mi ha parlato di investire risorse per creare in Veneto le spiagge per disabili gravi. Ed anche quando gli ho dato una mano per cambiare l’auto con la quale amava muoversi, in una costante ricerca di conoscenza e libertà”.
C’è un video che mostra Gheller fare il bagno a Jesolo lo scorso agosto. “Sono molto contento per tutte le persone disabili gravi” dice. “Un bagno finalmente nelle spiagge”. La libertà è fatta di bagni al mare, di attrezzi che ti permettono di leggere e di spostarti, di parlare quando la voce ti si affievolisce e della possibilità di scegliere di morire se e quando quella tua vita è per te intollerabile.