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È un fatto di rilievo politico (nel senso più ampio del termine). Non può che essere così, quando si trovano insieme sullo stesso palco, a esporre pubblicamente le proprie difficoltà e proposte e a scambiarsi impegni reciproci il primo presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, e quello del Consiglio di Stato, Luigi Maruotti. Ciò che è accaduto a Bari, sabato 30 settembre scorso, a conclusione del convegno “Giurisdizione plurale: risorsa o problema?”. Non che sia accaduto all'improvviso. Prima si sono confrontati per un giorno e mezzo di fila decine di protagonisti del mondo giudiziario, dell'accademia, del foro, del mondo politico e culturale: insomma, un po’ tutti i soggetti che fanno “girare” il nostro meccanismo di doppia giurisdizione, ordinaria e amministrativa. Non è qui possibile neanche riassumere i loro interventi; si può solo rinviare alla videoregistrazione sul sito della Camera amministrativa distrettuale degli avvocati di Bari (organizzatrice dell'evento).
Un incontro di questa ampiezza, in effetti, non si ricordava. E, tornando indietro nel tempo, si ritrova il modello: il “concordato” del 1930 tra il presidente del Consiglio di Stato Santi Romano e quello della Cassazione D'Amelio. Un accordo che aveva segnato all’epoca il riparto tra le due giurisdizioni. Un modello ambizioso, richiamato già in apertura del convegno dal presidente della Camera amministrativa barese, Luigi d’Ambrosio, rilevando i problemi attuali creati dall’individuazione del giudice ( con riferimenti concreti, dalla materia dell’esecuzione dei contratti a quella delle interdittive antimafia).
Il riferimento a quel “concordato” è suggestivo, ma non siamo nel 1930. Abbiamo i nostri problemi, ma difficilmente qualcuno accetterebbe uno scambio temporale. E un riflesso ben visibile del cambiamento intervenuto da allora sta nella presenza oggi sul palco di un terzo attore: l’avvocatura. A rappresentarla è il presidente del Cnf, Francesco Greco. Che giustamente ricorda come il cittadino sia ora al centro di ogni tipo di processo; e quindi anche l’avvocato, che ha il compito di assicurarne la difesa. Nel dialogo tra le giurisdizioni, è doverosa la partecipazione anche dell’avvocatura quando entrano in gioco valori costituzionali come quelli del giusto processo.
L’intervento più esteso è quello della presidente della Cassazione, che muove dal grande numero dei ricorsi ( non ha uguali in Europa). Non andrebbe lasciato spazio, dunque, a quei ricorsi che non hanno alcuna giustificazione alla luce della giurisprudenza di Cassazione e della motivazione della sentenza impugnata. Il che è condivisibile, ma entro certi limiti: va pur sempre ricordato che la Costituzione attribuisce a tutti il diritto di agire, non di agire quando si ha ragione.
Al riguardo, ritiene la presidente che vada affrontato, in modo laico e collaborativo, anche il tema della preparazione degli avvocati che patrocinano in Corte di Cassazione. Dodici anni di esperienza professionale forse non bastano. Per noi magistrati – spiega la presidente Cassano - è richiesta un’anzianità ben maggiore. Solo l’esperienza può consentire di strutturare nel modo più efficace la domanda nell’interesse del cittadino.
L’attività interpretativa è centrale e diventa sempre più complessa a fronte della molteplicità delle fonti e delle autorità sovra-nazionali. Bisogna dunque restituire la Corte di Cassazione alla sua funzione nomofilattica, che dev’essere svolta assicurando chiarezza e precisione nel metodo interpretativo.
La motivazione delle pronunce – prosegue la presidente - deve poi essere proporzionata alla novità e al rilievo delle questioni. Una proporzione - già introdotta in ambito penale e che lo sarà presto anche in ambito civile - che richiede la comprensione degli avvocati. Più in generale, la Corte di Cassazione vuole dotarsi di un sistema di regole condivise sulla struttura dei propri provvedimenti per renderli più leggibili.
L’idea è quella di un metodo nuovo, basato su gruppi di lavoro costituiti da giudici amministrativi e ordinari che si incontrino periodicamente su temi predefiniti, posti di volta in volta ad oggetto di un approfondito confronto. E basato sulla redazione di parametri per individuare ciò che merita interlocuzione preventiva o approfondimento in pubblica udienza. Un dialogo costante – insomma - che coinvolga anche l’avvocatura.
Nette, infine, le affermazioni del presidente del Consiglio di Stato. Queste interlocuzioni con il giudice ordinario - finora mancate - saranno fondamentali e renderanno inutili gli ipotizzati tribunali dei conflitti. I problemi vanno affrontati insieme per giungere a soluzioni ragionevoli: così ad esempio quando una stessa vicenda può dare origine a domande risarcitorie da proporre a giudici diversi. E dunque, provando a ricapitolare, qual è l’esito di questo incontro? Non è l’individuazione di un criterio di riparto ( come per il “concordato” del 1930). È l’indicazione di un percorso. Che potrebbe portare a soluzioni condivise su specifici punti di attrito tra le giurisdizioni. Un metodo in cui il ruolo dell’avvocatura è importante specie nei tavoli sulle regole procedurali e sulle tecniche redazionali. Fermo restando che non tutto può risolversi nell'accordo tra le Corti. Spetta al legislatore uno spazio normativo che non può essere sostituito in via interpretativa.
Nulla di semplice, naturalmente. A una domanda del presidente del Cnf sulla “timidezza” del giudice amministrativo nelle condanne risarcitorie, il presidente del Consiglio di Stato risponde con un esempio concreto: se l’amministrazione sa che quando annulla un permesso di costruire deve poi anche risarcire il danno, non annullerà più. Assolutamente vero. Ma qui si affaccia un tema di fondo: il giudice amministrativo deve guardare agli effetti della sua pronuncia sull’attività amministrativa generale?