Caro Direttore,

Se c’è una cosa che è davvero cambiata negli ultimi (smemorati) 15 anni è l’uso invasivo della lingua inglese nella professione. Non mi riferisco agli avvocati che hanno rapporti con colleghi stranieri o società estere e che lavorano prevalentemente in inglese. Sto parlando della “irresistibile ascesa degli anglismi” di cui molti colleghi non riescono a far a meno. L’itanglese che avanza.

Tutto è cominciato con la locuzione “due diligence” che sarebbe, fonte Treccani, “la verifica di un potenziale investimento, finalizzata a confermare oppure a smentire tutti i fatti, gli elementi e le circostanze che attengono a una data operazione economica o commerciale”. Progressivamente tutto è diventato due diligence, anzi per tutto è necessaria una due diligence.

Una sera, a cena da amici, ho sentito una madre che sosteneva di aver fatto una due diligence per decidere a quale scuola iscrivere il figlio. Volevo chiamare il telefono azzurro. Mi hanno fermato che avevo già il cellulare in mano.

Poi sono arrivati gli acronimi: FYI, ASAP. Chi non ha ricevuto un “rispondimi asap”? Scrivere il prima possibile deve essere troppo faticoso. Oppure ti girano una mail e scrivono FYI. Non per tua conoscenza. Perché?

Improvvisamente - soprattutto dopo il “lockdown” (oddio anche questo è un anglismo, ma meno ansiogeno di confinamento), da quando le riunioni in presenza sono state progressivamente sostitute con le “conference call” – si è sdoganato un florilegio di definizioni più o meno comprensibili. Esempi: “facciamo un kick off meeting” che è l’esatto contrario di un “closing meeting” e si differenzia dal “brainstorming” dove puoi dire, più o meno, tutto quello che ti viene in testa (anche idee del cazzo che pure un pensionato in fila alle poste si vergognerebbe di esprimere). Peraltro, dire tutto quello che ti viene in mente (nel momento esatto in cui lo pensi) è la massima violazione della regola aurea dell’avvocato per cui - se non sai cosa dire o, peggio, non capisci cosa dicono gli altri – è meglio stare zitti e assumere una posa pensosa e intelligente che magari qualcuno ci casca.

I pareri sono diventati “opinion” pure se resi a un idraulico del Quarticciolo (quartiere romano limitrofo al GRA) e devono comunque far chiaramente comprendere il tuo “legal mindset”.

Se devi aggiornare l’agenda fai un “planning check”, se vuoi scaricare i termini di un adempimento giudiziario, li “scheduli” (che si pronuncia schegiuli, mi raccomando, altrimenti sgamano che non hai studiato a Eton).

Questa è la nuova frontiera: italianizzare termini inglesi per cui già esiste la parola italiana non solo corrispondente, ma anche più precisa.

Pochi giorni fa parlavo, pardon ero in call, con il legale (italianissimo, con vago accento bergamasco) di una società di smaltimento rifiuti che si è raccomandato: “Ti prego su questo aspetto serve una deep dive”. E, adesso, che significa “deep dive”? Momenti di panico malamente dissimulato on line.

Mi vengono in mente cose tipo spiaggia, mare… “diving school” c’era scritto sul cartello che campeggiava vicino alla postazione dei bagnini questa estate: immersione, profonda immersione. Questo qua mi sta dicendo che devo fare un serio approfondimento prima di dare il parere. Perché, che pensa? Che di solito scrivo la prima cosa che mi viene in testa?

“Certo, figurati – rispondo – non intendevo rendere l’opinion at dog’s dick”.

Dallo sguardo perso ho percepito che era lui a non aver capito, per fortuna.

Scrivo il parere (con la richiesta “deep dive”, ovviamente) e glielo mando. Passano pochi giorni e il tizio mi scrive una mail: “Il Ceo deve ancora blessare tua opinion (notare che non usa gli articoli, ndr). Ho comunque fatto follow up per ottenere feedback asap”. Niente, è più forte di lui: ormai parla solo in itanglese e si sente pure fico. Evito di rispondergli con un romanglismo (tipo “these dicks”) perché devono ancora pagarmi la parcella.

Abbasso lo schermo del computer e mi ricordo di un vecchio film di Nanni Moretti, Palombella Rossa, più precisamente la scena in cui Michele Apicella dà uno schiaffo alla giornalista che aveva detto “trend negativo”. Fosse quella la soluzione? Colpirne uno per educarne cento. Perché, caro Direttore, “le parole sono importanti” - ce lo siamo già detti sulle pagine del Suo giornale – “chi parla male, pensa male”.

Con i più cordiali saluti,

Andrea Armati