PHOTO
Avvocati e 41 bis: una lezione dalla Consulta
Da ormai qualche mese a questa parte hanno ripreso vigore le istanze, provenienti da enti locali, categorie economiche e anche da alcuni colleghi, finalizzate ad ottenere dal governo una ridefinizione della geografia giudiziaria, ossia, per dirla molto più semplicemente, una riapertura delle sedi di alcuni tribunali soppresse una decina d’anni or sono. Per il Veneto, in particolare, queste istanze mirano alla riapertura della sede di Bassano del Grappa, che si vorrebbe costituisse il nuovo Tribunale della Pedemontana, con evidente riferimento al territorio interessato dal nuovo tratto autostradale che collega la A4 con la A27, territorio che dovrebbe costituire, appunto, il circondario del nuovo tribunale. Ma non hanno – come sempre accade in questi casi - tardato a farsi sentire anche altre realtà territoriali, anch’esse desiderose di veder riaprire sedi soppresse.
Si tratta di istanze cui il governo ha ritenuto di dare ascolto e di prestare grande attenzione. Tanto che sono già intercorsi incontri con gli amministratori locali e con i rappresentanti delle categorie economiche, i quali si sono dichiarati assolutamente favorevoli all’ipotesi, che hanno anzi propugnato con forza. Il ministro Nordio, dal canto suo, a comprova della sensibilità rispetto all’argomento, rispondendo ad un question time alla Camera proprio sul tema della geografia giudiziaria, ha dichiarato che “è intenzione di questo governo riconsiderare tutta una serie di riduzioni che sono state fatte”, definendo altresì “giustificate le preoccupazioni legate alla riduzione della giustizia di prossimità”.
Si tratta di istanze che, a nostro modo di vedere, non sono in alcun modo condivisibili e che sono - e ci portano - fuori dal tempo in cui viviamo. Si tratta, anzitutto, di analizzare le ragioni che vengono indicate a fondamento di queste istanze e di verificare, quindi, perché un amministratore locale, un imprenditore, un cittadino vorrebbe un Tribunale più vicino alla sua sede o alla sua residenza. Sul punto le risposte che sin qui si sono lette non sono particolarmente chiare, né certamente nuove rispetto a quelle opposte un decennio or sono al momento della chiusura di queste sedi. Si dice che assicurare al cittadino un accesso alla giustizia “prossimo”, cioè vicino, sarebbe di per sé un valore di assoluto rilievo, per le imprese ed anche per le fasce più deboli; si dice, a leggere gli interventi dei fautori delle riaperture, che circondari più piccoli sarebbero più efficienti, garantendo quella tanto ricercata celerità dei procedimenti e quella efficienza capace di dare “risposte al territorio” che merita, ovviamente, di “essere ascoltato”.
Una considerazione preliminare – banale, se volete – deve essere svolta. Si può anche convenire sul fatto che in un mondo perfetto sarebbe preferibile che il Tribunale (ma, perché no, anche la Corte d’Appello…) siano vicine alla nostra sede o alla nostra abitazione, purché naturalmente in questo Tribunale vi fossero giudici e cancellieri in numero sufficiente (locuzione sul cui significato subito diremo) e vi fossero tutte le dotazioni strutturali e informatiche necessarie. Il problema è che, come sappiamo, le risorse sono limitate e che l’istituzione (la riapertura) di queste nuove sedi avverrebbe “a saldo invariato”, senza cioè risorse aggiuntive. Non solo e non tanto per quanto riguarda le strutture vere e proprie (sulle quali magari possono intervenire gli enti locali e può essere utilizzato quanto già esiste), ma soprattutto e certamente per quanto riguarda magistrati e personale di cancelleria. I quali, quindi, dovrebbero essere “ridistribuiti” in queste nuove sedi e sottratti, conseguentemente a quelle in cui oggi prestano la loro opera. Sedi queste ultime che vedrebbero così accentuate le difficoltà in cui già versano per essere private di risorse oggi assolutamente indispensabili e già insufficienti ad assicurare un servizio dignitoso.
Questo per dire che è necessario effettuare una scelta, operando un bilanciamento fra i valori legati alla prossimità ed altri valori che vengono inevitabilmente in gioco, valori legati alla qualità dell’amministrazione della giustizia. E’ per dire che privilegiare la prossimità significa sacrificare altri valori, non solo nelle altre sedi ma anche in quelle che verranno riaperte poiché la coperta sarebbe inevitabilmente ancora più corta per tutti. E’ la stessa scelta che la politica deve compiere, per esempio, con riferimento alla sanità. Tutti vorremmo avere l’ospedale sotto casa, ma vorremmo anche che quell’ospedale fosse in grado di curarci con i migliori specialisti e le migliori attrezzature. E dobbiamo scegliere.
Ciò detto, anche sul valore della “prossimità” è necessario essere chiari. Anzitutto, il cittadino accede direttamente al servizio giustizia solo con riferimento ad alcuni diritti, legati in larghissima misura alla volontaria giurisdizione, mentre per ogni altra forma di tutela deve ricorrere all’intervento dell’avvocato. Se così è, dunque, se si vuole rispondere davvero alla domanda di giustizia prossima che proviene dai cittadini, sarà sufficiente istituire dei presidi relativi alla volontaria giurisdizione, perché è questo il servizio cui i cittadini accedono direttamente. Non solo. Ma un tempo la sede del Tribunale dislocata nel territorio aveva un senso in relazione ai tempi necessari, in allora, per raggiungere, per esempio il capoluogo di provincia. Oggi quei tempi si sono accorciati moltissimo, grazie a reti stradali e ferroviarie sempre più efficienti, per cui il Tribunale, anche se dislocato nel capoluogo, è comunque, per moltissimi utenti, più vicino oggi di quanto non fosse la vecchia sede poi soppressa. Infine, a partire dall’introduzione del processo telematico e ancor più con la trattazione di molte delle udienze civili in via cartolare o in videoconferenza, anche per gli avvocati le distanze hanno in parte perso in buona parte il loro significato.
Ma è necessario essere ancora più chiari sulle altre esigenze, sottese alla richiesta di riapertura delle vecchie sedi di Tribunale, esigenze, come si accennava, legate alla celerità e all’efficienza e, in fondo alla qualità del servizio giustizia. A leggere gli interventi di sindaci e imprenditori si percepisce l’idea che il Tribunale più vicino sarà migliore perché la giustizia sarà più rapida e più funzionale alle esigenze delle imprese e, con esse, alle esigenze del territorio. Le cose non stanno affatto in questo modo.
Va detto, anzitutto, come sia indubitabile che oggi la qualità del servizio giustizia sia legata anche alla specializzazione degli operatori, siano essi magistrati o avvocati. Lo scibile giuridico – anche qui è davvero banale ricordarlo – è ormai di tale ampiezza che non è più ipotizzabile che vi siano soggetti capaci di occuparsi di tutto. Le diverse materie ed i riti applicabili presuppongono una specializzazione non solo nelle tradizionali grandi aree (civile, penale, amministrativo, tributario…) ma anche all’interno delle stesse; in particolare nell’ambito del diritto civile, dove avremo sempre più bisogno di magistrati specializzati in diritto di famiglia, fallimentare, lavoro; nell’ambito del diritto penale dove è sempre più difficile immaginare un pubblico ministero o un giudice che indaghi e decida su reati che vanno dall’evasione fiscale alla bancarotta, dalla rapina all’infortunio sul lavoro, dalla violazione delle disposizioni a prevenzione dello sfruttamento del lavoro ai reati contro la pubblica amministrazione. Solo dei magistrati (e degli avvocati) specializzati potranno garantire la qualità della giurisdizione e nel contempo la sua celerità. Poiché è evidente che tanto più un magistrato e un avvocato sono conoscitori della materia di cui trattano, tanto più rapidamente la controversia verrà definita.
Ora, se c’è una circostanza su cui non vi sono dubbi è che nelle sedi di tribunale che si vorrebbe riaprire tale specializzazione non sarà possibile in alcun modo assicurare. Saranno tribunali in cui – nel migliore dei casi – saranno addetti una decina di magistrati, che faticheranno a comporre i collegi in ragione delle incompatibilità e ai quali non sarà, nella sostanza, possibile assegnare la trattazione solo di alcune tipologie di controversie. A tacere poi della difficoltà di coprire i posti assegnati a tali sedi, visto che l’esperienza insegna come i posti vacanti presso i tribunali periferici siano sempre numerosi. Ma se così è non si comprende, allora, al di là di quelle che appaiono vuote affermazioni retoriche, quale possa essere il vantaggio per le imprese e per i cittadini in genere che deriva dalla (ri)apertura di nuove sedi. Non certo quello della qualità della giurisdizione, né certo quello della celerità delle decisioni.
Un’ultima considerazione. I tribunali di dimensioni estremamente ridotte, come sarebbero quelli riaperti, sono i luoghi in cui più frequentemente si manifesta l’autoreferenzialità e il protagonismo, per assenza di controllo sociale. Il magistrato solo, che non può confrontarsi con colleghi che trattano le sue stesse questioni, può finire per assumere contegni e orientamenti legittimati solo dalla circostanza che in quel luogo è solo lui a decidere. E ciò può portare con sé rapporti connotati da opacità, generati dalla necessità di ingraziarsi la benevolenza di chi è arbitro unico dell’amministrazione della giustizia. Tutti fenomeni che non abbiamo alcun bisogno di accentuare e men che mai di favorire. E che certo non rispondono né agli interessi delle imprese né a quelli dei cittadini.
Lettera firmata da:
Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Padova, Francesco Rossi,
Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Treviso, Diego Casonato,
Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Vicenza, Alessandro Moscatelli