Palazzo Madama, primo pomeriggio. In Aula c’è il voto finale sul decreto Aiuti bis. Sono gli ultimi sgoccioli di legislatura. «Le dico solo che poco tempo fa mi ha chiamato Gentiloni per chiedermi se Letta fosse impazzito». Ci sono due problemi nel Pd di Enrico Letta, a pochi giorni dal voto. Il primo, e più incombente: la tanto agognata rimonta nei confronti del centrodestra, e di Fratelli d’Italia in particolare, non si sta concretizzando. Anzi. Il secondo, di più ampio respiro ma che coinvolge l’intero partito: il Pd ha perso la propria bussola, e se non la ritroverà da qui a pochi mesi si arriverà a una resa dei conti al Congresso previsto in primavera.

Che la strategia della segreteria dem in vista del voto non stava decollando si capiva ormai da settimane, troppo contraddittorio mettere su un’alleanza «solo elettorale» con Sinistra italiana e Verdi, per ammissione dello stesso Letta, quando dall’altra parte c’è una coalizione che sarà unita solo a parole, come dicono al Nazareno, ma che a quanto pare riesce a predicare bene. E troppo contraddittorio portare avanti il baluardo del governo Draghi quando contribuisci a far eleggere chi non ha mai votato la fiducia al governo Draghi.

Da qui la difficoltà, a livello numerico, di contrastare l’ascesa di Giorgia Meloni. Una difficoltà che potrebbe essere smentita dalle urne, ma sulla quale sta facendo leva chi non condivide la strategia del segretario. Come ad esempio coloro che sono rimasti giù dal carro. Non ricandidati, come spiega uno di loro nei corridoi di palazzo Madama, «per puro spirito vendicativo». Senza mezzi termini si contesta a Letta di aver «sbagliato tutto», dalla strategia di comunicazione ai temi di campagna elettorale. «Siamo arrivati a voler smantellare il Jobs Act, votato all’epoca da tutto il partito - sospira una fonte che chiede di restare anonima - Le dico solo che poco tempo fa mi ha chiamato Gentiloni per chiedermi se Letta fosse impazzito».

Al Congresso, secondo un altro “contestatore”, si arriverà alla resa dei conti tra un Pd chiuso nei palazzi del potere, intriso di rancore nei confronti di Matteo Renzi e pronto a tutto pur di non tornare indietro, e un altro aperto al dialogo con tutti, a partire da quei settori legati all’associazionismo, al terzo settore e perché no anche ai sindacati troppo spesso lasciato indietro da questa segreteria.

«Tutta fuffa», è la risposta che arriva dai piani alti del Nazareno. «Non c’è nessuno che contesta apertamente la linea di Letta - si spiega - Perché non è stato lui a non volersi alleare con il Movimento 5 Stelle e non è stato lui a non volersi alleare con Calenda: sono stati Giuseppe Conte prima, facendo cadere il governo Draghi, e lo stesso Calenda poi, stracciando un patto firmato poco prima, a voler rompere con il Pd».

Quel che voleva fare Letta era insomma il campo larghissimo, ma non gliel’hanno fatto fare. Il problema è che vista la rimonta del Movimento 5 Stelle al Sud e il buon risultato che potrebbe ottenere il terzo polo, sembra che quello rimasto con il cerino in mano sia proprio l’ex presidente del Consiglio. Tanto che il leader M5S va ancora in giro a dire che lui si alleerebbe con il Pd anche domani, ma che «con questa segreteria non si può dialogare». E anche in questo caso dal Nazareno non le mandano a dire. «Sono discorsi da comizio di paese - è il ragionamento - Se vuoi costruire un rapporto con un partito non puoi dire sì al dialogo ma solo dopo un cambio al vertice, perché questo significa prendere in giro dirigenti e militanti di quello stesso partito».

Eppure i vertici dem sanno benissimo che Conte lo fa perché convinto che ci sia una parte nemmeno troppo minoritaria del partito pronta ad accogliere l’invito di cacciare il segretario e rimettere insieme i cocci di un’alleanza mai davvero tramontata. «Fuffa anche questa», si ribatte. «L’ala “sinistra” del partito sta con Letta, ed Elly Schlein, vice di Bonaccini, è una delle punte di diamante di questa campagna elettorale». Verrebbe da chiedersi se è la stessa Elly Schlein che ha corretto Letta in piena campagna elettorale dicendo che «un governo con Verdi e Sinistra italiana è possibile, perché gran parte dei nostri programmi è quasi del tutto sovrapponibile».