Più la data del voto si avvicina, più diventa evidente che lo schema di gioco impostato da Enrico Letta, lo scontro bipolare, non funziona. O almeno così sembrerebbe a giudicare dai sondaggi che quotano con sempre maggiore convinzione l’esistenza di almeno quattro schieramenti in grado di contendersi fette consistenti di elettorato. Al centrodestra, capitanato da Fratelli d’Italia, non si contrappone infatti il centrosinistra, ma una serie di sigle capaci di farsi concorrenza a vicenda. Se il Pd (insieme a all’alleanza Verde Sinistra e Impegno civico) è il capofila incontrastato di questo blocco, non riesce per ora a calamitare su di sé tutte le preferenze degli elettori moderati e progressisti. Da un lato Azione e dall’altro il Movimento 5 Stelle fanno segnare di settimana in settimana il segno più accanto al nome del loro partito inserendosi a pieno titolo nella lista degli aspiranti referenti degli “anti meloniani”. Secondo un sondaggio Euromedia Research, commissionato due giorni fa da Porta a porta, se la partita elettorale fosse già chiusa il risultato sarebbe questo: Fratelli d’Italia sarebbe il primo partito italiano con il 24,6 per cento, seguito dal Pd al 23,1. La Lega, in costante calo, terza forza politica per un soffio col 12,5 per cento, tallonata dal Movimento 5 Stelle, in costante ascesa, al 12,3. Ma a sorpresa avanza pure a grandi falcate il Terzo polo di Calenda e Renzi, che col 7,4 per cento supera Forza Italia ferma al 7. Messa così, dunque, non ci sarebbe partita. Il centrodestra vincerebbe a mani basse le elezioni potendo contare sulla maggioranza assoluta in Parlamento, favorito dalla grande frammentazione nel campo avversario. Ma è proprio la crescita del partito di Calenda a poter scompaginare, seppur di poco, i piani di Meloni & co, quel tanto che basta per impedire il cappotto e riaprire i giochi in Parlamento. L’ex ministro dello Sviluppo economico, infatti, non pesca solo in “zona Ztl”, storicamente bacino dem, erode consensi anche a destra, tra l’elettorato forzista. Se il trend venisse confermato, per quello che un tempo era il centrosinistra ci sarebbe qualche speranza in più di non fare da semplice spettatore nella prossima legislatura. Il segretario del Pd però non vuole mancare l’obiettivo minimo per la sopravvivenza politica - conquistare il gradino più alto del podio come singolo partito - e spera di svuotare i suoi ex alleati grazie agli appelli sul voto utile. Il risultato di questa strategia, al momento, non sta dando i frutti sperati, se non quello di accendere una competizione fratricida sul versante opposto a Meloni. Così, Calenda si scaglia contro Letta, che si scaglia contro Conte che si scaglia contro tutti i nostalgici di Draghi. L’agenda Draghi «come metodo se diventasse la regola sarebbe insidiosa per la democrazia non prevedendo dialettica e confronto», dice il leader M5S, da settimane impegnato a colpire il fianco sinistro scoperto del Pd, con l’obiettivo di attrarre i delusi del Nazareno. «È un’agenda incomprensibile che non auspico per la salute della democrazia», aggiunge, rivendicando anche la posizione contraria all’invio di armi all’Ucraina e le proposte sul lavoro (salario minimo e orario settimanale ridotto a parità di stipendio). «Noi non ci siamo pentiti e non abbiamo nulla di cui pentirci» per la rottura dell’alleanza con il Pd, insiste Conte «anche perché il vertice del Pd che ha fatto questa scelta cinica adesso si lamenta e agita lo spauracchio delle destre. Doveva pensarci prima. Noi siamo orgogliosi di poterci proporre alle persone per portare avanti le nostre battaglie». Se per Letta «non ci si inventa progressista, parla la storia delle persone» e per i suoi Conte resta quello dei decreti sicurezza con Salvini ( omettendo però due anni di governo giallorosso), per Calenda la campagna elettorale del Pd è la «più violenta di quelle del dopoguerra». A mettere il carico, poi, ci pensa Matteo Renzi, che arriva a twittare: «Tanta gente ritiene invotabile Enrico Letta, specie dopo la recente svolta sovietica sulle tasse e la proprietà privata». Meloni, Salvini e Berlusconi si trasformano così in avversari minori, sullo sfondo, come se non fossero a un passo dal prendersi palazzo Chigi. Perché i poli si saranno pure moltiplicati, ma solo uno vincerà la partita. E al momento non sembra ci siano molti dubbi sul pretendente.