TotalEnergie è la sola compagnia energetica occidentale e a differenza di altri colossi come British petroil, Shell. Equinor e la stessa Eni, continua le sue attività sul territorio russo, in particolare nell’estrazione e nello sfruttamento del gas che gestisce assieme alla società locale Novatek.

Nulla di illegale, il gas di Mosca, a differenza del petrolio non è al momento sottoposto ad alcun embargo internazionale e può essere commerciato liberamente.

Ma un’inchiesta del quotidiano Le Monde in collaborazione con l’ong Global Witness rivela un aspetto inquietante di questa partnership franco- russa: TotalEnergie possiede infatti il 51% del giacimento di Termokarstovoye in Siberia, gestito in loco dalla società Terneftegaz di cui il gigante francese detiene a sua volta il 49% delle azioni. Terneftegaz estrae direttamente un idrocarburo liquido che viene trasformato in kerosene e poi destinato al rifornimento dei caccia militari russi impegnati a bombardare le città ucraine. Si tratta di un condensato del gas molto leggero che non ha bisogno di essere raffinato, vantaggio che permette tempi di produzione molto rapidi.

Appoggiandosi a un rapporto di Global Witness dall’eloquente titolo “Soldi francesi, petrolio russo, sangue ucraino” i giornalisti di Le Monde hanno ricostruito tutta la catena di approvvigionamento che dai giacimenti siberiani porta il kerosene fin dentro i serbatoi degli aerei d’attacco russi Soukhoï, nello specifico nei modelli SU- 25, SU- 30 e SU- 34 di stanza nelle basi di Morozovskaïa e Malcevo.

Da lì sono partiti gli squadroni che, come denuncia Amnesty International, hanno tempestato di bombe la città di Mariupol. L’episodio più cruento fu il bombardamento del teatro dello scorso 16 marzo in cui hanno perso la vita seicento persone e che la stessa Amnesty ha definito un «crimine di guerra», ma tutta l’area metropolitana è stata colpita per settimane con centinaia di raid a ritmi regolari.

Un continuo via vai che si è rivelato molto conveniente per le casse di TotalEnergie: a fine luglio la società ha dichiarato 5,7 miliardi di euro di profitti per il secondo trimestre del 2022, oltre due volte e mezzo in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In questo mare di ricchezza una parte consistente proviene proprio dalla produzione di gas in Siberia che rappresenta il 35% della produzione totale del gruppo.

Da Parigi i vertici di TotalEnergie provano ad abbozzare una timida difesa, ma lo fanno in modo maldestro come spesso accade quando ci si ritrova a negare l’evidenza o a mettere un’inutile toppa sul buco: «In quanto azionari di minoranza in Novatek con solo il 19% di partecipazione al capitale non partecipiamo alle decisioni operative né alla filiera di distribuzione del carburante», spiegano. Ancora più impacciato il tentativo da parte dell’amministratore delegato Patrick Pouyanné di negare la convergenza di interessi con le politiche energetiche del Cremlino, affermando che Novatek è «un impresa privata». Lo è nominalmente, perché il suo principale azionista Gennady Timtchenko è un oligarca molto vicino a Vladimir Putin, sesto uomo più ricco di Russia è stato colpito dalle sanzioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti.

Nessuno ha poi spiegato come mai sul sito ufficiale della compagnia appare un banner di condanna dell’invasione in Ucraina ma non nella versione in lingua russa dove la guerra è magicamente scomparsa. La malafede del gruppo è evidente, tanto che sulla questione è intervenuto il governo francese con il ministro dei trasporti Clément Beaune che ha invitato a fare «piena chiarezza». Al contempo la notizia che la principale azienda nazionale dell’energia contribuisce ad alimentare la macchina da guerra russa ha creato una bufera mediatica. Che ha prodotto effetti immediati: nella serata di ieri TotalEnergie ha annunciato il suo ritiro dal giacimento di Termokarstovoye, precisando però che è una decisione presa dallo scorso luglio, Ma le relazioni pericolose di TotalEnergie non si limitano solo alla Russia di Putin. A inizio gennaio la compagnia si è dovuta ritirare dal mercato di Myanmar sempre in seguito a un’inchiesta di Le Monde che ha svelato la rete di interessi che la legavano alla giunta militare responsabile di continue violazioni dei diritti umani. In particolare per lo sfruttamento della riserva di gas nell’impianto di Yadana.