Proviamo a mettere un po’ di ordine in vista del voto di oggi al Senato e lo facciamo con il costituzionalista Michele Ainis.

Professor Ainis, ci aiuti a fare un po’ di chiarezza in queste ore turbolente: cosa succede oggi in Senato?

Oggi Draghi parla in Senato in base a un invito posto dal presidente della Repubblica, il quale ha voluto parlamentarizzare la crisi di governo. In sostanza, invece di accettare al buio le dimissioni, ha chiesto a Draghi di andare in Parlamento per suscitare lì un confronto e un dibattito. Il che è assolutamente coerente con i principi costituzionali, perché il Parlamento è la fucina dei governi. Seguendo questa direttiva del capo dello Stato, Draghi farà le comunicazioni a Senato e Camera, a seguito delle quali immagino si metta nero su bianco una mozione di fiducia.

Il tutto sempre che Draghi non decida di confermare le sue dimissioni, giusto?

Se Draghi confermasse le dimissioni non ci sarebbe nemmeno il dibattito. Ma se così non dovesse essere si aprirebbe un confronto tra i diversi gruppi parlamentari, al termine del quale verranno presentate più mozioni e sulla base di queste mozioni ci dovrebbe essere una rinnovata fiducia o un’aperta sfiducia al governo in carica.

Analizziamo i due scenari. Il primo implica la conferma delle dimissioni di Draghi: cosa accadrebbe?

Con una conferma delle dimissioni del presidente del Consiglio, e di conseguenza del governo, si aprirebbe diversi scenari possibili, tra i quali soltanto uno è probabile. Tra quelli possibili, può essere che Mattarella decida di fare un nuovo giro di consultazioni e dia poi un nuovo incarico per formare il nuovo esecutivo a Draghi o altri. Quello probabile è invece che questo governo rimanga in carica per gli affari correnti e ci conduca alle elezioni anticipate per le quali già si ipotizza una finestra temporale molto ravvicinata, visto che in autunno c’è da predisporre la manovra di bilancio.

Secondo scenario: il Parlamento conferma la fiducia al governo. Che succede?

Anche in questo caso, ove venisse confermata la fiducia a questo esecutivo gli scenari sono diversi. In primo luogo, la fiducia potrebbe essere ribadita dagli stessi partiti che sostenevano il governo Draghi, quindi Cinque Stelle compresi. A quel punto il governo va avanti senza toccare alcuna casella. In secondo luogo, Il M5S decide di no dare la fiducia al governo, e qui arriva un sentiero stretto in cui ci si dovrà muovere.

Cioè?

Draghi ha detto che non governa senza i Cinque Stelle, mentre Lega e Forza Italia hanno detto che non sono disposti a stare in un governo con dentro il partito di Conte. Parrebbe un cul de sac, dal quale tuttavia si potrebbe uscire senza che nessuno rinneghi la propria posizione.

In che modo?

Con una scissione nel M5S. Se il grosso dei parlamentari grillini continuasse ad appoggiare il governo, Draghi potrebbe dire che continua a governare con i Cinque Stelle, anche se non “di nome”. Allo stesso tempo, Berlusconi e Salvini potrebbero dire di non essere al governo con i Cinque Stelle “originali”, perché il “vero” M5S andrebbe all’opposizione.

Il problema è che non sembrano essere così tanti i grillini disposti a sostenere il governo: come si risolve?

In questi caso, per giustificare la prosecuzione della sua avventura di governo Draghi potrebbe far pesare il fatto nuovo. Cioè la forte pressione internazionale e la forte richiesta da parte della società italiana, dai sindaci ai rettori, fino alle associazioni di categoria, affinché prosegua il suo lavoro a palazzo Chigi. È come se ricevesse una nuova fiducia non dal Parlamento, bensì dalla società civile.

Insomma un bel garbuglio: come si è arrivati a ciò?

La mia opinione è che la questione dell’inceneritore sia stata drammatizzata, in particolare dalla Lega, nei giorni precedenti al voto in Senato a cui i Cinque Stelle non hanno partecipato. La drammatizzazione è avvenuta perché la Lega, e anche i Cinque Stelle, hanno avuto un cattivo risultato alle Amministrative e sono in caduta libera nei sondaggi. Di conseguenza hanno un forte mal di pancia a rimanere in questo governo di unità nazionale. In più vedono che l’unico partito di opposizione, Fratelli d’Italia, si gonfia di consensi sia reali, alle Amministrative, sia virtuali attraverso i sondaggi.

In sostanza hanno cercato un espediente per smarcarsi dal governo…

Esattamente. Ma spesso succede che i desideri politici si infrangono contro la realtà e la realtà è che se la crisi non si risolve si va a votare molto presto. Questo significa che i partiti che hanno provocato la crisi alla fine anziché passare come alfieri di alcuni valori (ambientali il M5S, etici la Lega) passino per sfasciacarrozze, cioè per coloro che in un momento di grande difficoltà hanno complicato le cose.

Cosa si può dedurre da tutto ciò?

Beh, questo ragionamento può darci un minimo di ottimismo sulla soluzione positiva della crisi, proprio perché non conviene più a nessuno, forse nemmeno a Draghi. Mi spiego: se mantenesse le dimissioni pur avendo i numeri per governare non ne uscirebbe benissimo come immagine internazionale. Il paradosso è che il governo si è dimesso pur avendo la fiducia, mentre è obbligato a dimettersi solo dopo un voto di sfiducia, modello costituzionale peraltro applicato soltanto due volte con Prodi, mentre tutte le altre crisi, come quella attuale, sono state extraparlamentari.