L’economista Giulio Sapelli critica le nuove misure della Bce perché «chi crede che la crisi economica scaturita dalla pandemia e dalla guerra sia risolvibile con gli strumenti di una banca centrale si rende semplicemente ridicolo» e sulle conseguenze è netto: «avremo soltanto un aumento dei differenziali dei rendimenti dei titoli di stato e del debito pubblico dei paesi che già ora sono in difficoltà, compresa l’Italia».

Professor Sapelli, la presidente della Bce Christine Lagarde ha di fatto decretato la fine del cosiddetto quantitative easing, con l’obiettivo di porre un freno all’inflazione. Come giudica la mossa della Bce?

Dell’interruzione degli acquisti di titoli di Stato con la frequenza, la profondità e il volume che avevano caratterizzato gli ultimi anni, penso sia sbagliata innanzitutto la motivazione. Non credo infatti che con questa mossa si possa fermare un’inflazione che non è tale. L’inflazione è un aumento dei prezzi dell’offerta, qualcosa di completamente diverso dalla curva di Philips. È vero che la teoria economica non esiste più ma evidentemente neanche i capi degli uffici studi sanno più cosa sia l’economia. Siamo davanti a un’emersione del prezzo delle materie prime alimentari ed energetiche causato dall’aggressione russa all’Ucraina.

Perché pensa che gli strumenti adottati da Lagarde non saranno sufficienti a governare la tempesta economica che sta per abbattersi sul mondo, come annunciato da JP Morgan?

Chi crede che siano questione risolvibili con gli strumenti a disposizione di una banca centrale, il famoso whatever it takes, si rende semplicemente ridicolo. Ancor più per il fatto che la Bce è tutto tranne che una banca centrale. Possiamo definirla un’istituzione finanziaria che finora acquistava titoli di stato stampando moneta comune a favore di nazioni firmatarie di un trattato che però non modifica né le politiche fiscali né il welfare.

L’aumento dei prezzi viene determinato soltanto delle aspettative borsistiche, che stanno schizzando verso l’alto.

Per anni le politiche portate avanti dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi, hanno tenuto in piedi il sistema euro. A quali conseguenza porterà ora la strategia della Bce?

La conseguenza sarà solo quella di aumentare i differenziali dei rendimenti dei titoli di stato tra i vari paesi. Cioè in sostanza produrrà un aumento dello spread, come sta già avvenendo. E aumenterà il debito pubblico dei paesi che sono già in difficoltà. Stiamo assistendo a un tipico fenomeno di entropia.

Tra i paesi a cui ha fatto riferimento c’è sicuramente l’Italia, il cui spread con la Germania è sopra i 200 punti: cosa si aspetta per il nostro paese?

L’Italia si sta avviando verso una situazione non tanto simile a quella del default dell’Argentina quanto a quello del Libano. E così finirà che ci saranno sempre gli stessi partiti a guidare il paese, anche a livello economico, sarà riconfermato il governo Draghi e ci sarà una ripartizione del territorio economico tra le banche francesi e le industrie tedesche.

Al trattato del Quirinale firmato tra Roma e Parigi ne seguirà uno italo tedesco che converrà soprattutto a Berlino e, le dirò di più, perfino uno italo spagnolo.

Possibile che non ci siano soluzioni, in Italia e in Europa, per evitare un simile scenario?

Non ci sono soluzioni, almeno non nell’immediato. L’unica luce che vedo in fondo al tunnel, nel lungo periodo, è quella di dotare l’Europa di una costituzione federale, per poi mettere in piedi una politica fiscale unitaria e creare una vera banca centrale. Cioè applicare all’Ue il modello americano degli Stati uniti d’Europa.

La via d’uscita non è il ritorno ai nazionalismi ma un’accelerata verso la federalizzazione dell’economia europea. E questo non si fa certo con questi fantomatici trattati bilaterali.

La situazione economica internazionale è sotto pressione a causa della guerra in Ucraina: crede che le sanzioni occidentali stiano facendo male a Mosca e possano portare prima o poi a un ribaltamento del conflitto?

Sicuramente stanno raggiungendo l’obiettivo, perché la Russia è un paese sottosviluppato e in grave crisi demografica. Dopo le rapine della famiglia Eltsin susseguite al crollo dell’Urss può solo esportare materie prime alimentari ed energetiche. È uno stato del terzo mondo e lo si vede anche dalla condizione del suo esercito, che non è più quello che ha combattuto in Afghanistan. Il governo russo dunque sottoporrà il suo popolo a inenarrabili sofferenze, ma ci rimetteremo anche noi. Insomma, faremo sprofondare la Russia in una crisi economica ma dipenderemo ancora dalle loro materie prime.

Pensa che l’Europa e l’Occidente, Italia compresa, dovrebbero continuare con le sanzioni economiche e l’invio di armi fino al termine della guerra?

Al momento corriamo il rischio che nessuno coltiverà più il grano e scaverà più i pozzi. Per impedirlo bisogna vincere la guerra sul campo e sconfiggere la Russia con le armi, non con le sanzioni economiche, che pure servono. Anche Napoleone fece il blocco continentale contro l’Inghilterra, poi finì per perdere la guerra.