Le toghe vanno all’assalto dei referendum sulla “giustizia giusta” promossi da Lega e Partito radicale. Lo avevamo scritto qualche giorno fa: accantonato il flop dello sciopero Anm contro la riforma Cartabia su Csm e ordinamento giudiziario, ora la magistratura si concentrerà sulla propria campagna “antireferendaria” con un obiettivo: evitare il raggiungimento del quorum all’appuntamento del 12 giugno. Con una consapevolezza stavolta rassicurante: la battaglia, per i promotori, è persa in partenza, visto che la Corte costituzionale ha bocciato i quesiti cosiddetti “portagente” e che l’informazione è assai rarefatta sui temi referendari. Sembra dunque abbastanza agevole, ai magistrati, avvicinarsi al carro dei vincitori per poi salirvi, facendo dimenticare il periodo difficile che li sta scuotendo, da Palamara in poi.

La presidente di Area democratica per la giustizia, Egle Pilla, è stata molto netta in una dichiarazione all’AdnKronos: «Il nostro auspicio è che prevalgano i no, anche se una forte astensione è una previsione molto concreta, in ragione non credo solo della scarsa visibilità mediatica ma di una certa disaffezione dimostrata negli ultimi anni allo strumento referendario, nonché della complessità dei quesiti e del loro carattere molto tecnico, che è poco compatibile con il concetto stesso di referendum».

Dal punto di vista della magistrata al vertice della corrente progressista, una consultazione popolare «dovrebbe riguardare grandi temi di immediata percezione e non specifiche disposizioni di difficile comprensione». Secondo Pilla «la vittoria del sì comporterebbe la difficoltà di tradurre in norme siffatta volontà, con enormi difficoltà e rischi, ancora una volta, per l’assetto costituzionale del potere giudiziario, della indipendenza della magistratura e delle possibilità di esercitare serenamente ed efficacemente la nostra funzione».

Il quesito «più pericoloso per i cittadini», ha concluso Pilla, «è a mio parere quello sulla separazione delle funzioni: oggi il pm è, per legge, il primo garante della libertà e dei diritti dei cittadini. Trasformarlo nell’avvocato della polizia vorrebbe dire perdere un importante presidio di libertà e di legalità».

Sul No si attesta ovviamente anche la posizione di Angelo Piraino, segretario generale di Magistratura indipendente: «La vittoria dei Sì, in alcuni casi creerebbe un grave vuoto di tutela, come per il referendum sui presupposti della custodia cautelare. Non si potrebbe più applicare la custodia cautelare a un ladro o a un corruttore seriale. In tutti gli altri casi, anche se vincesse il Sì, la durata dei processi non si abbrevierebbe nemmeno di un giorno. Questi referendum non danno risposta alle vere esigenze della giustizia italiana. Il referendum sulla legge Severino, poi, non riguarda nemmeno la giustizia, ma la politica, perché chiama i cittadini a scegliere quali devono essere i requisiti dei rappresentanti che vogliono poter eleggere».

Quanto all’ipotesi che il quorum non sia raggiunto, Piraino ha evidenziato: «I quesiti sono certamente di difficile comprensione per l’elettore medio, in alcuni casi lunghissimi, e in altri casi riguardano dettagli modesti di una normativa molto più articolata. Credo che i cittadini stiano percependo che ci troviamo di fronte a un uso non congruo dello strumento referendario».

Il mancato quorum, ha concluso, «forse significherebbe che i cittadini ritengono che su temi delicati e oggettivamente tecnici, come quello dell’efficienza della giustizia e dell’equilibrio tra i poteri, la politica si deve assumere le sue responsabilità, e che non ci deve essere spazio per il populismo. Su questi temi va condotta una riflessione pacata, che guardi agli interessi dei cittadini nel medio e lungo periodo, senza slogan ma con ragionamenti articolati e approfonditi».