L’esposto dell’ex pm di Roma Stefano Rocco Fava contro l’allora procuratore Giuseppe Pignatone fu tenuto a mollo al Csm per oltre un mese. Finendo in un cassetto dopo una nota della Procura di Perugia, che informava Palazzo dei Marescialli di un decreto di perquisizione che conteneva l’ipotesi di un tentativo di condizionamento della nomina del nuovo procuratore di Roma attraverso quello stesso esposto. È uno dei clamorosi elementi venuti fuori ieri a Perugia nel processo sulle rivelazioni, che vede imputati l’ex capo dell’Anm Luca Palamara e Fava, ora giudice civile a Latina.

Un’udienza ricca di colpi di scena, che ha visto tra i protagonisti due ex compagni di banco al Csm, Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, entrambi chiamati come testimoni. Ma con una differenza: Davigo, come chiarito nel corso dell’udienza di ieri, risulta ora essere indagato dalla procura di Perugia a seguito dell’esposto presentato da Palamara contro l’ex pm di Mani Pulite e il laico del M5S Fulvio Gigliotti, ai quali l’ex leader dell’Anm contesta la violazione dolosa e preordinata dell’obbligo di astensione nel procedimento a suo carico e l’induzione in errore degli altri componenti della commissione disciplinare del Csm. Davigo, afferma infatti Palamara, era stato messo a conoscenza da Fava dell’esposto contro Pignatone.

Con quel documento Fava segnalava il comportamento tenuto da Pignatone nei procedimenti a carico dell’ex avvocato esterno di Eni, Piero Amara, e dell’imprenditore Ezio Bigotti: il capo della procura aveva infatti negato che sussistessero ragioni per astenersi dalle indagini, nonostante i rapporti professionali di entrambi con il fratello Roberto. L’esposto di Fava, difeso dall’avvocato Luigi Antonio Paolo Panella, arrivò alla prima commissione il 27 marzo, ha spiegato Ardita, ma il comitato di presidenza, a suo dire in modo inusuale, decise di condurre una sorta di istruttoria preliminare, chiedendo informazioni all’allora procuratore generale della Corte d’Appello di Roma, Giovanni Salvi, che a sua volta chiese chiarimenti a Pignatone.

In quella corrispondenza erano contenute tutte le fibrillazioni registrate in procura, comprese quelle durante le due riunioni infuocate di cui poi i giornali diedero notizia. Informazioni, aveva sottolineato Pignatone nel corso di una precedente udienza, che erano in realtà in possesso di molti a Piazzale Clodio. Dopo tali accertamenti, dunque, l’esposto tornò a Palazzo dei Marescialli il 7 maggio 2019, ovvero due giorni prima del pensionamento di Pignatone. Da lì sarebbero dovute partire le prime audizioni, fissate a giugno, ma tutto si interruppe per via della nota della procura di Perugia. E pochi giorni dopo, il Fatto e La Verità raccontarono della guerra in procura, fuga di notizie per la quale ora Fava e Palamara sono a processo.

Davigo, che ha deciso di testimoniare senza l’assistenza di un avvocato, ha affermato che tra le contestazioni mosse a Palamara vi fosse il concorso nell’esposto nei confronti del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo. Affermazione che ha fatto sobbalzare l’ex presidente dell’Anm: «Mi sembra giusto e doveroso precisare che come risulta dall’atto di incolpazione e dalla sentenza che ha disposto la mia ingiusta rimozione dalla magistratura, contrariamente a quanto dichiarato dal dottor Davigo oggi in aula, io non ho mai avuto nessuna contestazione per concorso nell’esposto nei confronti del dottor Ielo - ha dichiarato prendendo la parola -. Sono sconvolto dal fatto che il mio giudice, cioè Davigo, mi abbia giudicato senza conoscere nemmeno il contenuto dell’incolpazione che mi riguardava. Quello a mio carico davanti al Csm non è stato un processo, ma un’esecuzione - ha affermato -. Sono sconvolto dal fatto che il mio giudice, cioè Davigo, mi abbia giudicato senza conoscere nemmeno il contenuto dell’incolpazione che mi riguardava. Ora faccia chiarezza fino in fondo».

L’udienza è stata però anche l’ennesima occasione per raccontare la rottura tra Davigo e Ardita. «Ho conosciuto Stefano Fava perché Sebastiano Ardita mi chiese di intervenire a un incontro che riguardava, mi pare, le elezioni della sezione Anm locale - ha sottolineato Davigo -. Fava in quell’occasione parlò di doglianze sull’allora procuratore capo, Giuseppe Pignatone, ma non mi accennò di un esposto. Quello che escludo categoricamente è che mi abbia parlato di un esposto contro Paolo Ielo (procuratore aggiunto di Roma, ndr)». Parlando di Ardita, Davigo ha ribadito di essersi allontanato da lui per via delle divergenze sul voto per la procura di Roma, gettando ombre sull’operato dell’ex collega: «Sono arrivato anche a ipotizzare che Ardita mi fosse stato mandato dietro da Cosimo Ferri», ha sottolineato.

Ma se Davigo sostiene che Ardita volesse spingerlo a votare Marcello Viola, finito suo malgrado al centro dei fatti dell’Hotel Champagne, il magistrato catanese sostiene l’esatto contrario: «Cercò di costringermi a votare per il dottor Prestipino, nomina che fu poi dichiarata illegittima, ed io fui costretto a rimetterlo a posto». Ardita ha anche confermato che Fava, durante l’incontro con Ardita e Davigo, «preannunciò un esposto contro Pignatone». E sulle insinuazioni che riguardano Ferri, «con cui ho parlato l’ultima volta nel 2013», il consigliere del Csm ha annunciato di voler valutare eventuali azioni legali: «Mi procurerò il verbale e valuterò il da farsi. Davigo cerca di difendersi come può, è imputato (a Brescia, ndr) di un reato infamante per un magistrato».