L’Europa ha battuto un colpo, anzi ne ha battuti due: prima il discorso di Macron, solcato da una esplicita vena autonomista rispetto all'impostazione degli Usa nel conflitto ucraino, poi la visita a Washington, latore di un messaggio che non riguarda solo l'Italia. E' l'intera Ue a non volere una guerra lunghissima e ad avere al contrario bisogno che si passi dalle bombe alla trattativa il prima possibile. La possibile "divaricazione" tra l'approccio degli alleati sulle due sponde dell'Atlantico consegue al differente prezzo che implicherebbe una guerra infinita.

L'aspetto più vistoso, ma in realtà anche il più ipotetico e quanto meno improbabile, è che la guerra si combatte già e a maggior ragione si combatterebbe ove il conflitto si allargasse sul suo europeo. E' il rischio più temuto ma quanto meno solo un rischio. La crisi economica minacciata già prima della guerra dall'impennata del prezzo dell'energia e moltiplicata ora dalle conseguenze sia della guerra stessa che delle sanzioni invece è una certezza. In dubbio ci sono solo le dimensioni e la violenza della tempesta in arrivo. La terza voce in rosso fiamma è la crisi alimentare: non uno spettro temuto ma una realtà che si sta già concretizzando. Per decine di milioni di persone nelle aree povere del mondo vuol dire la fame. Per il Vecchio Continente significa uno tsunami migratorio di proporzioni probabilmente inaudite. Per l'Unione non c'è mina potenzialmente più deflagrante e lo si è visto in passato. Di fronte a una simile serie di rischi la Ue non poteva restare ai margini del campo come di fatto è stata sinora.

Se il rischio è forte, peraltro, l'opportunità lo è altrettanto. Draghi non esagera quando dice che la guerra determinerà un drastico cambiamento nell'Unione, anche se come d'abitudine si concentra, almeno pubblicamente, solo sui possibili sviluppi positivi di una situazione estremamente fluida. Dovendo far fonte a una situazione di estremo pericolo l'Unione è davvero costretta a stringere i legami da tutti i punti di vista. Incalzata dagli avvenimenti deve per forza accelerare il processo di integrazione a tutti i livelli, dotarsi di una difesa, di una politica estera e di una politica economica comune. E' una contingenza che va oltre quella, già epocale, determinata dal Covid: stavolta infatti non è chiamata in causa solo una necessaria risposta comune sul fronte dell'economia. S'impone un'integrazione a tutto campo, politica, e dunque senza possibilità di retromarcia come, almeno nelle intenzioni di alcuni, per la risposta alla crisi Covid.

D'altro lato mancare l'occasione significherebbe rassegnarsi a un ruolo di margine sulla scacchiera politica, particolarmente clamoroso trattandosi di una crisi nella quale proprio l'Europa è per molti versi direttamente coinvolta. Se l'occasione è questa, tanto da meritare lo spesso abusato "se non ora quando", è vero anche il contrario: se non ora mai più o comunque in un futuro tanto lontano quando indefinito e incerto.

Il problema è che la Ue, per la sua stessa architettura interna, per le regole che si è data senza neppure considerare la possibilità di contingenze come questa, per le divisioni interne e gli interessi concreti spesso confliggenti, non è affatto adeguata a muoversi con la rapidità e la drasticità che la situazione richiederebbe. Per questo Romano Prodi, ex presidente della Commissione europea, avanza una proposta a modo suo traumatica: passare subito a un'Europa due velocità, su base volontaria però, senza parametri, ma solo basandosi sula disponibilità a una cessione di sovranità massiccia. I Paesi che, in nome dei loro specifici interessi e della loro autonomia, rifiutano di accelerare a tavoletta sul processo d'integrazione reterebbero fuori dal nucleo centrale della Ue e perderebbero il potere di bloccare tutto, con possibilità di adesione lasciata però sempre aperta.

E' probabile che il traguardo e il percorso suggeriti dall'ex presidente della Commissione siano troppo ambiziosi. Le resistenze interne di ogni tipo sarebbero troppe e troppo agguerrite per travolgerle di slancio. Ma di certo in quella direzione la Ue deve procedere e speditamente se vuole che la profezia ottimistica ma non impossibile di Draghi si realizzi.