Intervista al consigliere della Corte di Cassazione Angelo Costanzo, Presidente del Movimento per la Giustizia.

Quali nuovi obiettivi emergono dalla recente Assemblea del Movimento per la Giustizia e come pensate di realizzarli?

Il Movimento vuole aprirsi a qualificati soggetti esterni. Il suo statuto lo considera necessario per «l'analisi delle cause reali delle disfunzioni della giustizia e l'individuazione degli strumenti idonei a porvi rimedio». Occorre cooperare con l’avvocatura per proporre soluzioni - frutto di esperienze e non di astrazioni estemporanee e mutevoli - alla classe politica, che non riesce a varare progetti coerenti e le nuove risorse fornite all’Ufficio per il processo non vanno dissipate.

Servono approcci innovativi verso una formazione comune per le professioni legali con l’apporto che l’Università può dare, se sollecitata in modo mirato. Magistratura e avvocatura mostrano una inquietante difficoltà a curarsi della selezione delle nuove leve che nei prossimi anni entreranno a comporre il sistema giudiziario e la cui mentalità è tutta da formare ammodernando i piani di studio universitari, con una ramificazione specialistica dei corsi di giurisprudenza, prima del differenziarsi delle propensioni personali, per poi seguire percorsi post- laurea che siano gestiti dalle istituzioni e non da privati. Organizzeremo incontri con la compartecipazione di esponenti di varie categorie professionali per focalizzare le cause strutturali dei problemi senza impantanarci nelle questioni contingenti.

Contiamo di diffonderne i contenuti sperando nella collaborazione delle parti vitali dell’avvocatura. Su questa linea, la rivista “Giustiziainsieme” da tempo ospita contributi: ottimamente e autonomamente diretta, è alimentata dagli apporti di magistrati di diversi orientamenti e allergici ai condizionamenti, di avvocati e di studiosi di varie discipline.

Qual è il vostro parere sul diritto di voto degli avvocati nei Consigli giudiziari?

Avvocati e docenti universitari già partecipano ai Consigli Giudiziari. Ma non è evidente in base a quali criteri siano scelti, mentre sono trasparenti le regole per l’elezione dei magistrati: la chiarezza giova per giustificare la rappresentatività. Comunque, le innovazioni sono utili se mosse non da aspirazioni a gestire potere ma rivolte all’interesse pubblico. Non vale introdurre ulteriori interessi particolari, ma idee e responsabilità più evolute. La partecipazione attiva degli avvocati ai Consigli giudiziari ben può riguardare pure le valutazioni professionali e disciplinari dei magistrati: occorre però che l’ordinamento giudiziario sia studiato e rispettato davvero da tutti. Correlativamente serve che i magistrati partecipino ai Consigli distrettuali, per comprendere la deontologia forense, più articolata e complessa di quella giudiziaria.

Quali sono le vostre proposte di riforma per frenare le degenerazioni del correntismo? La magistratura ha preso davvero coscienza delle criticità emerse in questi anni?

Una ragione della nostra nascita 30 anni fa fu il «contrasto delle degenerazioni del correntismo», rispettando la deontologia e rifiutando gli allettamenti offerti dall’esterno, e perdura. Nel 2019 “Giustiziainsieme” ha organizzato un convegno nazionale su come migliorare il Csm nella cornice costituzionale ( i lavori sono pubblicati da Cedam) e veicola opinioni sul tema. Tuttavia, sarebbe ingenuo attendersi soluzioni dalle riforme. Le degenerazioni sono un epifenomeno della disaffezione verso i fondamenti della professione che alligna nella classe dirigente italiana; fra politici, docenti, sanitari, giornalisti. Alcuni preferiscono allontanarsi dal fertile latifondo del dovere per dedicarsi a orticelli di angusti illusori poteri.

Inoltre, la crisi della democrazia rappresentativa investe significativamente anche il ruolo della magistratura. Solo lo sviluppo delle elaborazioni culturali condivise può produrre miglioramenti sostanziali. Ma occorre tempo e costanza: non ci sono scorciatoie.