C’è una strana congiuntura astrale nel firmamento della giustizia tra oggi e domani. Stamattina la Corte costituzionale si riunirà in camera di consiglio per esaminare otto giudizi di ammissibilità riguardanti i referendum abrogativi su eutanasia, cannabis e giustizia. Le prime due materie danno luogo a un solo quesito ciascuna, mentre le schede sulla “giustizia giusta” saranno 6: legge Severino, misure cautelari e recidiva, separazione delle funzioni dei magistrati, partecipazione di membri laici ai Consigli giudiziari e al Consiglio direttivo della Cassazione, responsabilità civile diretta dei magistrati, elezione dei componenti togati del Csm. Tra i promotori c’è fiducia, viste le dichiarazioni di qualche giorno fa del neo presidente della Consulta Giuliano Amato: «Dobbiamo impegnarci al massimo per consentire, il più possibile, il voto popolare». Come ha detto l’avvocato Guido Camera, presidente dell’associazione di giuristi Italiastatodidiritto, che parteciperà come difensore, con il professor Alfonso Celotto e l’avvocato Simona Viola di + Europa, nel giudizio di ammissibilità sull’eutanasia attiva, «se la Corte darà il via libera a tutti e 8 i quesiti referendari, in primavera gli italiani avranno la possibilità di dare il via a una stagione di riforme in chiave autenticamente liberal- democratica, in materia di giustizia e diritti civili, che manca oramai da troppi anni». Domani invece la commissione Giustizia della Camera comincerà l’esame del maxiemendamento Draghi-Cartabia alla riforma del Csm. Ora, la domanda che tutti ci poniamo è cosa potrebbe accadere se la Consulta desse il via libera ai referendum, in particolare a quelli sulla giustizia, promossi da Lega e Partito radicale. Nel giorno della sua relazione al Parlamento, qualche settimana fa, la ministra Marta Cartabia, rispondendo alla senatrice di + Europa Emma Bonino, disse chiaramente che riforme parlamentari e consultazione popolare sono «due percorsi legittimi, paralleli, hanno poche aree di sovrapposizione e bisognerà in quel caso vedere se il legislatore soddisfa le richieste dei referendum o meno; ben vengano entrambe in modo tale che siano portate avanti parallelamente». Non a caso il governo non si è costituito davanti alla Corte costituzionale. Comunque le aree di sovrapposizione riguardano due quesiti: quello sulla separazione delle funzioni e quello sull’equa valutazione di professionalità dei magistrati. Se passasse il sì per il primo, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo per tutta la vita professionale. Ma già con la riforma Cartabia i passaggi diverrebbero solamente due. E Forza Italia chiede di ridurli a uno soltanto. Con il sì al secondo, verrebbe riconosciuto anche ai membri “laici”, cioè avvocati e professori, di partecipare attivamente alla valutazione dell’operato dei magistrati. Anche qui la riforma del governo prevede il voto degli avvocati nei Consigli giudiziari. Quindi, considerato che la riforma parlamentare del Csm dovrebbe approdare in Aula a marzo, mentre sui referendum si andrebbe a votare a primavera inoltrata, due quesiti potrebbero essere, anche se solo in parte, superati. Tuttavia, come ha scritto Carlo Nordio sulle pagine del Messaggero, la forza del referendum trascende i singoli quesiti e rappresenterebbe, qualora passassero, un messaggio alla magistratura e al Parlamento: non vogliamo più questa amministrazione della giustizia, è tempo di grandi riforme, non di pannicelli caldi come è l’attuale proposta in discussione alla Camera, giudicata debole anche dall’Unione Camere penali. Quindi, se stasera o domani arrivasse il via libera della Consulta, la decisione impatterebbe non poco sui partiti: il centrodestra unito - spera Salvini - sarebbe rafforzato e si preparerebbe alla campagna di primavera insieme ai radicali, mentre Partito democratico e Movimento 5 Stelle si troverebbero in una posizione scomoda. In particolare i dem - contrari ai referendum giacché li considerano un’iniziativa populista che contrasta con le riforme di cui si sta discutendo in Parlamento hanno già vissuto una specie di psicodramma quando, ad aderire in pieno o in parte alla campagna referendaria, sono stati, ovviamente a titolo personale, nomi di spicco come Goffredo Bettini, Giorgio Gori, Gianni Pittella, Massimo Smeriglio, Luciano Pizzetti. E proprio ieri, se la pasionaria Enza Bruno Bossio ha ricordato di averli sottoscritti tutti, il suo compagno di partito e senatore Salvatore Margiotta ha scritto su twitter: «Sono pentito di non aver firmato, per disciplina di partito e per rispetto del mio stesso ruolo in Parlamento, i referendum sulla giustizia, o almeno alcuni di essi. Se la Corte li ammetterà, farò la mia parte nella campagna». In generale, quello che la magistratura percepisce come un voto contro se stessa, chiamerebbe i partiti ad essere severi, ad esempio, in fase di elaborazione dei decreti attuativi della riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. E si riaprirebbe l’ importante partita sulla vera separazione delle carriere, promossa dall’Unione Camere penali con il Partito Radicale, bloccata in commissione Affari costituzionali alla Camera.