Le giudici del processo a Luca Palamara ammettono: «Siamo iscritte all’Anm». E, dunque, potenzialmente parte in causa nel procedimento di cui dovrebbero decidere. Dopo il no dell’Associazione nazionale magistrati alla richiesta dei difensori dell’ex consigliere del Csm di consegnare l’elenco degli iscritti, con lo scopo di verificare se i giudici che andranno a giudicarlo nel processo che lo vede imputato a Perugia per corruzione siano o meno soci dell’Associazione e, dunque, potenzialmente portatori di interessi nello stesso processo, sono i componenti dello stesso collegio a rompere il silenzio, rispondendo alla nota inviata il 20 gennaio scorso dai legali di Palamara, Roberto Rampioni e Benedetto Marzocchi Buratti. Nota dalla quale si evince che erano stati le stesse giudici ad autorizzare l’Associazione guidata da Giuseppe Santalucia a segnalare la loro iscrizione, facendo cadere, dunque, qualsiasi questione legata alla privacy. «La sottoscritta dottoressa Carla Maria Giangamboni, quale presidente del I Collegio penale, davanti al quale pende il procedimento di cui all'epigrafe - si legge nella risposta inviata ai due legali -, letto quanto segnalato dalla difesa del dottor Palamara, rileva di aver già autorizzato per iscritto l'Anm a comunicare i dati richiesti ai fini difensivi, con riferimento agli attuali componenti del collegio giudicante. In ogni caso, per quanto di occorrenza, conferma — unitamente alla collega dottoressa Serena Ciliberto (che sottoscrive per adesione) — di essere iscritta, alla data del 15 novembre 2021 e ad oggi, all'Associazione nazionale magistrati». Confermata, dunque, la posizione ambivalente dei giudici, che si ritrovano ad occupare, contemporaneamente, il doppio ruolo di giudice e potenziale parte civile, data la richiesta del sindacato delle toghe di partecipare al processo al fine di vedersi riconosciuto il danno d’immagine. E ciò potrebbe rappresentare il preludio di una ricusazione dei giudici, con un ulteriore slittamento del processo. L’Anm, di cui Palamara è stato presidente, all’udienza del 15 novembre scorso, aveva formulato dichiarazione di costituzione di parte civile data la «diretta ed immediata causalità fra le condotte tenute dall’imputato, così come descritte nell’imputazione, e il danno materiale e morale dalle stesse causato all’Associazione»; condotte che si pongono «in assoluto contrasto con i principi che governano l’agire del magistrato» e che «si riverberano direttamente in modo negativo e sono fonte diretta di danno in relazione al prestigio, all’indipendenza e al rispetto, estremi caratteristici della funzione giudiziaria quale oggetto di tutela da parte dell’Anm». Da qui l’istanza dei due legali, che hanno evidenziato la necessità che l’imparzialità, la terzietà e l’indipendenza dei giudici sia non solo sostanziale, ma anche apparente, «alla luce della giurisprudenza della Corte Edu». Apparenza che verrebbe meno nel momento in cui chi giudica appartiene anche ad un corpo più ampio che chiede di essere risarcito. Di fronte alle richieste della difesa, l’Anm ha però sempre risposto negativamente, opponendo ragioni formali: «La richiesta eccede il fine a cui risponde», aveva replicato nella sua ultima missiva il presidente Santalucia. Non per ragioni di «segretezza», dunque, ma in quanto «nei termini in cui è articolata», la richiesta «sembra non tener conto dei criteri di proporzionalità e necessità rispetto alla finalità perseguita, a cui ogni trattamento di dati personali deve uniformarsi». Una resistenza «inspiegabile» agli occhi dei difensori, che hanno infine deciso di rivolgersi direttamente al Tribunale, chiedendo di «acquisire l’elenco nominativo degli iscritti all’Associazione nazionale magistrati, alla data del 15 novembre 2021, al fine di consentire l’esercizio del diritto di difesa in ordine al pieno accertamento della imparzialità, indipendenza e terzietà – anche solo apparente – del giudice competente a decidere». La questione, nelle scorse settimane, aveva anche contribuito a creare tensioni all’interno della stessa Anm, quando una mail che sarebbe dovuta rimanere interna al circuito di posta degli iscritti, a firma di Andrea Reale, componente della corrente “Articolo 101”, ha evidenziato la lesione del diritto di difesa di Palamara. Ma non solo: Reale ha anche sottolineato come nel corso del Comitato direttivo centrale di inizio novembre fosse stato lo stesso presidente Santalucia a paventare il «rischio di ricusazione dei magistrati» del processo a Luca Palamara. Come si evince dal verbale di quella seduta, Santalucia riferì «delle preoccupazioni avanzate dal difensore dell’Anm circa le problematiche di natura processuale legate al mantenimento della costituzione di parte civile, che potrebbero essere superate qualora l’associazione agisse esclusivamente in sede civile». Il Comitato, alla fine, votò compatto per rimanere parte del processo penale. Ma Reale, nella sua mail, denunciò la mancanza di trasparenza all’interno dell’Anm, nonché una certa ipocrisia: «Ma davvero il diritto di difesa ex art. 24 Cost. è stato ritenuto recessivo rispetto alle esigenze di proporzionalità e necessità del trattamento dei dati dei magistrati (funzionari pubblici per eccellenza) iscritti all’Anm? - si chiedeva Reale - Ma davvero dobbiamo ancora ricoprirci di ridicolo, provando ad agghindare la casa di vetro con cartoni alle finestre?».