Ci sono occasioni rare. Forse irripetibili. Mario Draghi lo è. Uno spiraglio per il Paese e per gli stessi partiti. Ma un governo “di alto profilo” non può ridursi all’icona del suo vertice. Una sfida del genere richiede scelte “temerarie” anche in altre postazioni. Ad esempio sulla Giustizia. Innanzitutto perché la partita sarà meno agevole di quanto s’immagini. Poniamo pure che la nuova maggioranza veda i cinquestelle esclusi, e un’intesa allargata dal Pd alla Lega: davvero un’alleanza del genere saprà sfidare il sentire comune sulla giustizia penale? Sicuro che, sulla prescrizione o sul carcere, non monterebbe la paura lasciare i grillini solitari custodi del giustizialismo?

È uno schema che richiede nomi di alto profilo anche a via Arenula, non solo a Palazzo Chigi. Ce ne sono due straordinari: Marta Cartabia e Gianni Canzio. Una ex presidente della Consulta e un primo presidente emerito della Cassazione. Cartabia sarebbe portatrice di una cultura della pena davvero aperta alla speranza, ispirata a quel libro da poco pubblicato con Adolfo Ceretti, “Un’altra storia inizia qui”: le visite in carcere di Carlo Maria Martini come esplorazione sul “fine rieducativo” e sul diritto al futuro per ogni condannato. Canzio è il magistrato che ha proposto, anche in recenti audizioni parlamentari, due semplici rivoluzioni: una prescrizione non del reato ma del processo, per quei casi in cui il giudizio penale abbia una durata intollerabile; e un addio al paradosso delle valutazioni di professionalità eccellenti per il 98 per cento dei magistrati italiani, tuttora elargite dal Csm.

Due nomi straordinari e irripetibili, che mai entrerebbero in un governo di coalizione. Ma che forse non potrebbero di sottrarsi all’appello del Colle. Draghi non si lasci sfuggire un’alternativa di tale spessore per il ministero della Giustizia: Cartabia o Canzio. La rinuncia ai giochi di palazzo si vedrà anche dalla forza dell’eventuale nuovo governo di scrollarsi le ruggini e osare soluzioni del genere.