Le nuove restrizioni alle attività produttive faranno perdere in termini di consumi - e quindi di Pil - ulteriori 17 miliardi di euro nell’ultimo quarto del 2020. La stima del peggioramento si basa sull’assunto che l’ultimo Dpcm comporti effetti d’intensità pari all’ 80% dei provvedimenti in vigore ad aprile scorso e che dicembre torni in linea con le valutazioni precedenti alle più recenti restrizioni. Le nuove perdite sono ovviamente concentrate su pochi settori produttivi: il turismo, la ristorazione, il benessere personale, gli spettacoli e la ricreazione, i trasporti: per alcuni di essi il bilancio su tutto il 2020 indicherebbe cali dei ricavi più vicini al 60% che al 50% rispetto al 2019.

Tutto ciò si innesta in quadro di pericoloso rallentamento congiunturale nei primi 20 giorni di ottobre: a prescindere dal clima di incertezza dovuto ai nuovi numeri sui contagi, l’economia italiana stava già adagiandosi sul trend di scarsa dinamicità che la contraddistingue da oltre venti anni, dopo il rimbalzo statistico del terzo quarto dell’anno in corso. In altre parole, dopo una forte crescita congiunturale tra luglio e settembre ( del 13,6% secondo la Nadef, del 12% secondo Bankitalia, del 10,6% secondo l’Ufficio Studi Confcommercio), nelle prime settimane di ottobre sono in contrazione l’energia elettrica immessa in rete, il gas della rete di distribuzione e la mobilità dei veicoli leggeri e di quelli pesanti, rispetto al medesimo periodo di settembre, in misura variabile tra il 6 e il 15%. Non fissatevi con i dettagli: il quadro è complessivamente chiaro.

Se le cose dovessero andare, quindi, secondo le ipotesi adottate e i trend già rilevati, le perdite aggiuntive conseguenti alle ultime restrizioni porterebbero la riduzione dei consumi interni nel 2020 a oltre 132 miliardi di euro rispetto ai valori del 2019. Il riverbero in termini di Pil sarebbe analogo: la variazione passerebbe dal - 9% dei documenti ufficiali ad almeno il - 10%. Con pessimi riflessi sul 2021.

Come chiarito dal presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, non è il momento delle polemiche ma della cooperazione tra le parti sociali, le istituzioni il governo, le imprese, i lavoratori e la cittadinanza tutta. Eppure, nonostante questa buona volontà, in molti - tra cui il sottoscritto - non hanno ben compreso il senso dell’ultimo Dpcm. Quale sono le evidenze empiriche che indicano, per esempio, nelle palestre o nei ristoranti i luoghi di accentuazione della trasmissione del contagio? Ci sono dati epidemiologici coerenti e affidabili che descrivono la mappa dei contagi in funzione dei luoghi di scambio sociale? Se sì, sarebbe utile conoscerli. Le perplessità di molti nascono dalla consapevolezza di avere applicato con rigore i protocolli di sanificazione e distanziamento dei propri locali, sopportandone i relativi non marginali costi. Questo, però, sembra non sia stato sufficiente perché adesso viene imposta una chiusura totale o parziale. Erano sbagliati quei protocolli? Non sono stati fatti adeguati controlli per sanzionare chi non li ha applicati o non li ha fatti rispettare? Ma allora perché colpire tanti imprenditori giudiziosi e in regola? La massima “colpirne 100 per educarne uno” non può funzionare. Genera frustrazione e rabbia.

Parliamoci chiaro. I luoghi presidiati sono quelli in cui una terza parte - rispetto alle altre due, cioè il cittadino e tutti gli altri che possono interagire con lui - ha la delega a operare un controllo: il ristoratore, il gestore del cinema, l’istruttore per la durata del suo turno in palestra. Questa terza parte assicura il distanziamento: essa stessa è controllabile dalla pubblica autorità. Altri luoghi non sono presidiati da terze parti affidatarie del controllo: sono potenzialmente molto più pericolosi e vanno inibiti o presidiati direttamente dalla pubblica autorità.

Questo discrimine avrebbe dovuto orientare la progettazione e l’implementazione di provvedimenti selettivi e mirati. Purtroppo ha prevalso, invece, la logica della rinuncia a selezionare: per chiudere, invece, senza una logica chiara. Le restrizioni sono dolorose, ma la difficoltà di accettarle dipende soprattutto dal fatto che sono poco comprensibili.

Al contrario, piace l’attenzione del governo alla questione dei ristori per le categorie colpite dalle restrizioni. I ristori sono urgenti, devono essere proporzionali alle perdite e semplici da fruire. Per ottenere il massimo risultato - indennizzi equi e dimensionalmente adeguati - con il minimo sforzo - senza oneri burocratici per i beneficiari e costi reputazionali per le istituzioni - l’esecutivo dovrebbe coinvolgere le parti sociali, anche per comunicare con maggiore chiarezza e precisione obiettivi e strumenti dei provvedimenti da adottare. Per combattere il Covid c’è bisogno di condivisione e consenso allargato a tutta la cittadinanza. La filiera della condivisione opererebbe efficacemente perché le associazioni di categoria sono un’indispensabile canale di interpretazione, comunicazione e mediazione.

Se vogliamo recuperare qualche punto di crescita a dicembre per entrare con un po’ di dinamicità nel 2021, è urgente una svolta in questa direzione. Se vogliamo, insomma, che il peggio appartenga al nostro passato e non al nostro futuro ( prossimo).

 DIRETTORE UFFICIO STUDI CONFCOMMERCIO