di Andrea Mandelli

Nel momento di grave crisi economica e sociale che stiamo vivendo, una delle vie decisive per iniziare a ricostruire il futuro del Paese dovrebbe essere la valorizzazione di quelle professionalità che sono uno dei grandi vanti dell’Italia. Suona perciò paradossale e inaccettabile che siano proprio le istituzioni a remare nella direzione opposta.

Mi riferisco al bando pubblicato lo scorso 28 settembre dal Ministero dello Sviluppo economico per reclutare 21 esperti con l’incarico di redigere un “Libro bianco sul ruolo della comunicazione nei processi di trasformazione digitale”. Le competenze e l’esperienza richieste sono di altissimo livello, c’è solo un problema: le consulenze dovranno essere prestate a titolo gratuito. Gli esperti che dovrebbero entrare a fare parte del gruppo di lavoro presieduto dal Sottosegretario Liuzzi, insomma, riceveranno come contropartita per il loro prezioso contributo tecnico- scientifico un sentito ringraziamento. L’insulto alla professionalità, oltreché alla dignità del lavoro e al diritto costituzionalmente tutelato a vedersi riconoscere il valore economico del lavoro svolto, è evidente. Questo bando non va solo contro il buon senso: va contro una legge dello Stato, ossia quell’equo compenso per cui io stesso mi sono battuto duramente. La legge di Bilancio per il 2018, infatti, ha fissato chiaramente il dovere, per una serie di “contraenti forti” come le pubbliche amministrazioni, di garantire al professionista che presti la propria opera una corresponsione commisurata alla qualità e alla quantità del lavoro svolto. Si tratta di un nodo etico, normativo ed economico riconosciuto anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato laddove è stato sancito che il compenso professionale non deve essere palesemente irrisorio e lesivo della dignità del professionista stesso.

Purtroppo però non è la prima volta che il governo viene meno a questo principio. Già nel febbraio del 2019, infatti, il Dicastero dell’Economia e delle Finanze avviò un bando per la ricerca di esperti senza avere alcuna intenzione di remunerarli. Ora la storia si ripete nel più totale, imbarazzante e imbarazzato silenzio degli esponenti dell’esecutivo. Esattamente come feci nel 2019, senza mai ottenere risposta, anche in questo caso ho depositato un’interrogazione parlamentare: qualcuno si deve assumere la responsabilità di questo schiaffo a milioni di professionisti italiani.

Peraltro, da luglio 2019 giace in Parlamento una mia proposta di legge che è volta a sanare le criticità applicative della norma sull’equo compenso, ampliando la platea dei soggetti tenuti al rispetto della normativa affinché coinvolga tutti coloro che, ai sensi del codice del consumo, non possono essere classificati come “consumatori”. La proposta ribadisce l’integrale soggezione alla disciplina da parte della P. a., dispone che l’equo compenso si applichi anche ai rapporti instaurati prima dell’entrata in vigore della normativa, purché ancora in essere, e legittima i Consigli nazionali delle professioni all’azione collettiva per inibire le violazioni della normativa. Si stabilisce infine che il Ministro della Giustizia adotti appositi decreti per ognuna delle professioni vigilate, tenendo conto di parametri specifici, per la liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale o dei soggetti interessati.

Mi chiedo come mai di questo tema, e della relativa proposta di legge, la maggioranza di governo non abbia più parlato. Non è una questione di polemica politica ma la riaffermazione di un principio che speravamo, evidentemente in modo ottimistico, di poter dare ormai per scontato: l’elevata qualità delle specializzazioni e del know- how dei nostri professionisti va pagata. Sempre e senza deroghe.

E questo dovrebbe essere ancor più evidente in un periodo in cui il mondo delle professioni sta affrontando con enormi difficoltà e con altrettanto orgoglio e coraggio una crisi che certo non lo ha risparmiato.