Non ha parlato di tutto. Non delle intercettazioni, almeno nel loro dettaglio, non ha spiegato in tutti i particolari la cena all’hotel Champagne del 9 maggio 2019, il palcoscenico fatale disvelato dal trojan. Ma Luca Palamara neppure si è nascosto, nell’udienza del procedimento disciplinare al Csm dedicata proprio all’esame della sua figura di incolpato. Semplicemente, la difesa dell’ex presidente Anm ritiene improprio offrire al collegio giudicante — presieduto da Fulvio Gigliotti e segnato dalla presenza, tra gli altri giudici, di Piercamillo Davigo — informazioni su un materiale che, in teoria, potrebbe anche rivelarsi non utilizzabile. Sulla “prova regina” sia del processo a Palazzo dei Marescialli sia dell’indagine penale di Perugia, Palamara ha infatti chiesto di valutare la perizia tecnica di un proprio consulente. I giudici disciplinari hanno dato l’ok. E venerdì prossimo dovranno decidere se il trojan è stato usato, come si adombra nella relazione, in modo irregolare. Nel caso, franerebbe l’intero castello, di accuse e di punizioni purificatrici.

Palamara ha comunque parlato in generale del suo rapporto con Luca Lotti, del fatto che la presenza del deputato alla cena del 9 maggio non sarebbe stata connessa alle pressioni su Palazzo dei Marescialli affinché nominasse Viola quale successore di Pignatone: «Non ho stipulato alcun accordo con Lotti per indicare a Roma un procuratore che dovesse agevolarlo nelle sue vicende processuali», cioè nel filone consip che vede coinvolto l’ex sottosegretario.

In teoria il destino del giudizio disciplinare sembrerebbe segnato, e ancora più compresso nelle tempistiche: dal 16 ottobre, il giorno della discussione finale e della sentenza è stato ieri ufficialmente anticipato a giovedì 8. Vuol dire che in 10 giorni la magistratura completerà probabilmente l’esecuzione capitale nei confronti del predestinato. Il calendario è ora più puntuale. Eppure si dovrà prima fare i conti con l’iniziativa assunta dal consigliere di Cassazione che assiste l’ex capo dell’Anm, Stefano Giaime Guzzi: ha ottenuto che fosse messa agli atti la perizia di parte. È stata accolta anche una richiesta della Procura generale, rappresentata dall’avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta: prima di valutare le ombre avanzate dalla perizia, dovrà riascoltare il direttore della società, Rcs, che ha materialmente effettuato le captazioni. Secondo Guizzi, le analisi condotte dal perito della difesa fanno emergere incertezze sulla regolarità del procedimento di archiviazione dei colloqui “catturati” dal trojan. Che non sarebbero confluiti direttamente nei server della Procura di Perugia, come impone la legge. Aspetto non irrilevante riguardo la riservatezza della fatale indagine perugina.

Quelle captazioni erano sì legittimamente autorizzate dal gip umbro, ma il Tribunale ancora non si è pronunciato, con l’eventuale rinvio a giudizio, sulla consistenza dell’accusa che fa da presupposto a quell’autorizzazione, i reati corruttivi ipotizzati dai pm di Perugia ( che nulla c’entrano con la nomina alla Procura di Roma). Qualora l’ex capo Anm fosse prosciolto dal gup, non decadrebbe, certo, la legittimità delle intercettazioni. Eppure resterebbe più un’ombra relativa al fatto che le sole conseguenze processuali dei colloqui tra Palamara e decine di colleghi finirebbero per consistere nell’incolpazione disciplinare al Csm. È evidente come proprio tale paradosso renda cruciale l’accertamento sulle garanzie di riservatezza assicurate durante l’acquisizione, da parte del Gico, delle conversazioni scoperte col virus spia.

Sono aspetti delicatissimi. Sui quali la sezione disciplinare del Csm scioglierà la riserva presto. Sentito mercoledì il dirigente della Rcs, l’ingegnere Duilio Bianchi, deciderà appunto venerdì se le intercettazioni avevano seguito un percorso regolare, cioè sicuro: dal cellulare di Palamara direttamente, come da articolo 268 del codice di rito, al server della Procura. Poi si arriverà a giovedì 8 ottobre, in tempo per pronunciare la sentenza Palamara ben prima che, con il congedo di Davigo, ci debba interrogare sulla legittima presenza nel collegio da parte dell’ex pm di Mani pulite. Anche se quel tarlo sul senso delle intercettazioni minacciato da un non impossibile proscioglimento a Perugia, avrebbe forse dovuto indurre il Csm a sospendere il processo disciplinare fino alla decisione del gup. Chissà che la fretta non si spieghi anche con tale, possibile corto circuito.

Al di là di quanto sia fondata la contestazione che potrebbe costare a Palamara l’addio alla toga ( è già sospeso da funzioni e stipendio, da un anno ormai) resta il vero enigma dell’intera vicenda: se l’ex capo Anm non fosse responsabile, penalmente, dei reati di corruzione che erano i soli a poter giustificare l’installazione del trojan sul suo cellulare, è davvero accettabile far pagare solo ( o quasi) a lui gli scambi di favori sulle nomine, le pressioni e le strategie tra Csm e capicorrente, che senza quel trojan, forse “immotivato”, sarebbero rimaste, nella percezione comune, come abitudine diffusa nell’intero ordine giudiziario?