«Un mese prima della strage di Bologna, il faccendiere mi disse che il suo amico Kram doveva compiere in Italia una importante missione». Si tratta di una testimonianza raccolta da Il Dubbio. Ma andiamo con ordine. Per la strage di Bologna del 2 agosto del 1980 c’è la verità giudiziaria che vede come esecutori gli ex Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, condannati definitivamente nel 1995. Si aggiunge poi Luigi Ciavardini (minorenne all’epoca dei fatti) condannato nel 2007 e Gilberto Cavallini, condannato in primo grado a gennaio di quest’anno. Tutti e quattro si professano innocenti. L’opinione pubblica è tuttora divisa. Diversi intellettuali di sinistra hanno fin da subito messo in dubbio l’effettiva colpevolezza degli ex Nar. Come non ricordare Luigi Cipriani, esponente di Democrazia Proletaria, che fin da subito disse che non avrebbero dovuto scrivere “strage fascista”. Ma, a sinistra, non era un caso isolato. Ad esempio c’era Ersilia Salvato di Rifondazione Comunista e Luigi Manconi che aderirono al celebre comitato “…e se fossero innocenti?”, composto in maggioranza da persone radicalmente contrapposte alla destra. Diversi sono stati i giornalisti di sinistra come Sandro Curzi, all’epoca direttore di Liberazione o Andrea Colombo, l’attuale brillante penna del manifesto.

"Cesare deve morire" e le frequentazioni in Sudamerica

Nel tempo si sono avanzate diverse ipotesi, alcune suggestive. Non mancano indizi verso la pista palestinese, o meglio quella relativa ai gruppi terroristici. In esclusiva diamo spazio a una testimonianza che potrebbe corroborare quest’ultima ipotesi. A parlare è il romano Giovanni Arcuri. Non è uno qualunque. È stato per diversi anni in carcere, pena finita di scontare nel 2016. È lui che ha fatto la parte di Giulio Cesare nel film dei fratelli Taviani “Cesare deve morire” che ha vinto 5 David di Donatello e l’Orso d’oro a Berlino. Arcuri stesso è stato premiato al Palm Springs Festival in California come miglior attore di lingua straniera. Ha scritto diversi libri come “Libero Dentro”, dove parla della sua vita fino a quando finì in carcere con l’accusa di traffico di stupefacenti. Nella prima parte parla del suo viaggio a New York , la partita a poker, poi Las Vegas, il Nepal, Caracas. Da pagina 61 invece il racconto cambia radicalmente. Non più viaggi e conoscenze con persone potenti, ma della sua vita trascorsa nel carcere di Rebibbia.Ha svolto numerosi lavori, attività imprenditoriali all’estero e finì per frequentare membri vicini ai cartelli della droga. Ebbe anche un ruolo nell’operazione Watch Tower, opera della Cia inerente al traffico di armi e stupefacenti, il cui scopo era quello di finanziare progetti della lotta anticomunista nei paesi dell’America Latina. Va ribadito che parliamo di un passato che non appartiene più a Giovanni Arcuri. Oggi è libero, anche se si è ritrovato nel 2016 accusato nuovamente di traffico di stupefacenti. «In primo grado mi hanno assolto – spiega Giovanni Arcuri a Il Dubbio - per i capi d'imputazione gravi e inesistenti. Mi hanno solo mantenuto l'art. 56, ovvero il “delitto tentato”».Ma facciamo un passo indietro. Fu negli anni 80 che conobbe persone di tutti i tipi, compresi faccendieri che avevano legami con il mondo dell’estremismo di destra.

Il racconto di Giovanni Arcuri e la strage di Bologna

Ed è qui che inizia il racconto di Arcuri che ha fatto a Il Dubbio. «Ho ritenuto opportuno – spiega -in occasione dell'anniversario della strage di Bologna dare la mia testimonianza e il mio punto di vista al riguardo. Punto di vista derivante non da una presa di posizione di parte ma da fonti a mio avviso attendibili di persone legate a chi potrebbe avere avuto a che fare con tutto ciò». Siamo a luglio del 1980. Giovanni Arcuri si trova in Bolivia. «Mi trovavo lì – spiega - perché avevo una relazione con la figlia di Roberto Suarez (l’allora “re della cocaina”, ndr ) ed ero in contatto con personaggi che volevano mantenere lo status quo in Bolivia, che favoriva gli interessi degli Stati Uniti nell'area. Tra le altre cose – aggiunge Arcuri - in quell'epoca anche Stefano Delle Chiaie latitante si aggirava per Santa Cruz con il nome di Alfredo Modugno». Arcuri spiega che lì conobbe Joaquin Fiebelkorn, un faccendiere tedesco noto per le sue simpatie neonaziste. «Lavorava per Suarez – racconta -, re indiscusso del narcotraffico di stanza a Santa Cruz de la Sierra. Joaquin proveniva dal Paraguay dove aveva lavorato per l'amministrazione del presidente Stroessner. Si era portato dietro un piccolo esercito conosciuti come "i fidanzati della morte". Tutti mercenari esperti in armi simpatizzanti della destra internazionale. Tra di loro c'era anche Herbert Kopplin ex SS, esperto in armi corte, e Manfred Kuhlman, mercenario proveniente dalla Rodesia, che con Hans Stellfeld erano istruttori militari ex Gestapo».

Thomas Kram era a Bologna il 2 agosto 1980

Ma veniamo al punto cruciale. «Fiebelkorn – prosegue Arcuri - mi disse che avrebbe dovuto incontrare il suo grande amico Thomas Kram nel mese di agosto, in Germania. Kram sarebbe arrivato dall'Italia perché aveva un importante missione da concludere». Arcuri poi va nei dettagli: «In una serata dove il liquore e le donnine abbondarono mi parlò di Separat e di Carlos. Mi fece capire che ogni tanto Carlos utilizzava i loro servigi in varie parti del mondo. Nel caso di Kram il contratto era stato appaltato per conto dello Fplp di Habbas (organizzazione terroristica palestinese, ndr) anche se probabilmente dietro c'era sempre l'Olp ma non poteva ovviamente comparire poiché Arafat stava tentando di far riconoscere lo Stato Palestinese. Questi individui non facevano parte del gruppo di Carlos, ma erano contattati ogni qual volta la loro presenza era fondamentale per la loro professionalità e riservatezza comprovata». Arcuri spiega che erano i primi di luglio del 1980 quando parlò con Fiebelkorn. Poco dopo avvenne il colpo di Stato del Generale Garcia Meza e non lo rivide mai più.«Da altre considerazioni fatte dall'ex Sismi Francesco Pazienza – riflette Arcuri -mi è sembrato di capire che i servizi erano a conoscenza da tempo del fatto che l'Italia si trovava sotto scacco dopo l''arresto del terrorista Saleh e del ritrovamento a Ortona (cittadina abruzzese) delle armi destinate alla cellula di Habbas. L'appoggio era saltato e il Lodo Moro, che aveva garantito una certa impunità di passaggio nel nostro Paese a beneficio degli arabi del Fdlp, era crollato. La ritorsione era alle porte». Giovanni Arcuri aggiunge: «L'unica nota stonata è che Kram alloggiò a Bologna con il suo vero nome. Alcuni mercenari che erano in Bolivia però mi dissero che dall'Europa in quel periodo c'erano dei problemi con i documenti. Potrebbe essere stata una scelta obbligata per non far saltare l'operazione, un'emergenza? Non possiamo né assicurare né smentire, quello che è certo è che Kram era a Bologna il 2 agosto e poi andò in Germania come disse Fiebelkorn».

E quando scoppiò la bomba Kram si trasferì a Firenze

A questo punto Arcuri conclude con una sua riflessione: «I servizi sapevano delle problematiche con gli arabi dovute agli arresti e al sequestro delle armi e hanno depistato il tutto facendo convergere sui Nar le responsabilità». Per dovere di cronaca Kram ha da sempre rigettato le accuse di aver fatto parte dell’organizzazione di Carlos. Per quanto riguarda la sua presenza all’albergo di Bologna proprio il 2 agosto del 1980, il giorno della strage di Bologna, ha dato in passato una sua spiegazione. Sin dal novembre 1979, quando soggiornava a Perugia, Kram era sorvegliato in Italia su richiesta del Bundeskriminalamt, che lo sospettava di favoreggiamento delle Cellule rivoluzionarie. Quando arrivò a Bologna, lui stesso ha raccontato che decise di evitare di incappare in nuovi controlli di polizia. Allo scoppio della bomba che provocò la strage di Bologna, quindi, decise di andare subito a prendere la corriera per raggiungere Firenze. Qualche settimana fa c’è stato però lo scoop dei giornalisti Gian Paolo Pelizzaro e Gabriele Paradisi: Kram, cinque mesi prima della strage era stato già a Bologna, e quel giorno, in quello stesso albergo, ha soggiornato anche Paolo Bellini, l’ex primula nera di Avanguardia nazionale. Ricordiamo che i Nar, invece, erano una formazione nata come punto di rottura e antagonismo nei confronti delle formazioni golpiste e stragiste.