È ora di ripartire. Anche perché in gioco, nel caso della Giustizia, ci sono i diritti. Ed è per questo che alimentare contrapposizioni è la cosa meno indicata da fare, soprattutto tra ingranaggi di una stessa, importantissima, macchina: avvocati e cancellieri. Così, mentre a Venezia lo scontro si è esacerbato al punto tale da spingere la Fp Cgil Veneto a considerare «privilegiati» gli avvocati desiderosi di tornare al lavoro, a Reggio Emilia a scendere in campo è stato direttamente il presidente del Tribunale, che con un provvedimento dello scorso 11 maggio - quindi alla vigilia della “Fase 2” della Giustizia, mai realmente cominciata - ha indicato le regole per lo smart working. Da non considerare come una vacanza, ma come un’alternativa da ridurre al minimo, se non strettamente necessario, proprio per consentire a tutti di riprendere le attività.

Il documento. Nella sua direttiva, la presidente Cristina Beretti indica le regole per i cancellieri, che pur lavorando da casa non hanno potuto svolgere la parte più corposa - e importante - del loro lavoro, data l’impossibilità di accedere, per ragioni di sicurezza, ai server del penale e del civile. Servono, dunque, regole diverse da quelle della Fase 1. La sicurezza, sottolinea Beretti, è assicurata, dal momento che l’ispezione svolta dall’Asl il 5 maggio ha confermato che il Tribunale è un luogo sicuro, «laddove siano puntualmente osservate le prescrizioni». Per riprendere l’attività giudiziaria, data la carenza di personale, è però impossibile lasciare invariati i progetti individuali di smart working. Vanno, dunque, ridotti del 50 per cento, con un massimo di due giornate a settimana ( per i genitori con bambini piccoli, portatori di patologie o difficoltà dovute ai mezzi di trasporto) e la possibilità di ridurre ulteriormente a una. Ma non solo: ogni progetto di smart working andrà relazionato in maniera dettagliata e dovrà rispondere «a criteri di effettiva produttività nell’ambito dell’ufficio di appartenenza». Insomma, bisogna far ripartire la giustizia e per farlo bisogna rispettare le necessità lavorative di tutti e collaborare.

L’ordine degli avvocati. Per il presidente dell’ordine Celestina Tinelli, «non è possibile banalizzare tutto con uno scontro tra categorie». Tocca ripartire, perché «la situazione è surreale». Anche per l’avvocatura, la priorità è «garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro», così come è stato fatto nella prima fase. A Reggio Emilia «sono stati rispettati tutti i criteri di sicurezza e il tribunale è accessibile sia agli addetti ai lavori sia ai cittadini. Ovviamente va garantita la distanza di sicurezza e vanno rimodulati i procedimenti. Tutti abbiamo adottato lo smart working - spiega al Dubbio -, ma ha dei limiti. E bisogna riorganizzarsi, senza scontri personali, che non portano a nulla. La giustizia è un servizio pubblico e si deve fare il possibile per farla ripartire».

La delibera di Milano. Nel territorio più colpito dalla pandemia, con l’aggravante dell’incendio che ha reso inagibile parte del Tribunale, dopo tre mesi di stop «è ora di ripartire in maniera decisa e forte». Nonostante la ripresa del decorso dei termini dal 12 maggio scorso, si legge in una delibera dell’ordine degli avvocati, «rimane limitato l’accesso alle cancellerie, dove si registrano episodi di insofferenza a qualsiasi forma di interazione fisica, determinando una situazione ghettizzante per gli avvocati». Il che, sommato all’impossibilità di accedere, da remoto, alle piattaforme telematiche procedurali, si traduce «nella sostanziale stasi lavorativa» e quindi economica per gli avvocati. Un’emergenza, affermano il consigliere Nadia Germanà Tascona e il presidente Vinicio Nardo, ignorata dalla politica. Gli avvocati chiedono la celebrazione di tutti i processi, l’accesso da remoto, per i cancellieri, ai registri informatici, l’attuazione immediata del processo penale telematico anche per le altre fasi del processo penale, invitando il ministro della Giustizia e il Governo «a promuovere ed emanare norme specifiche», assicurando la ripartenza «di un servizio essenziale per la vita democratica del Paese».