di Alessandro Parrotta* L’emergenza poteva essere gestita meglio (un caso eclatante in questo senso è rappresentato dal settore della giustizia). Tuttavia, occorrono da parte di tutti coesione e unità di intenti: solo in questa maniera si riuscirà – insieme – a superare la fase due ed evitare una retrocessione economica, che avrebbe effetti irreversibili sul Paese. In questo contesto può essere riletto il delicato passaggio delle mozioni di sfiducia presentate (e respinte) nei confronti del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a firma di numerosi parlamenti di diversi partiti. Un tornante che ormai pare lontano, ampiamente superato dalla tempestosa vicenda delle nuove pubblicazioni di atti relativi all’indagine di Perugia sul Csm, ma che in realtà merita una riflessione a freddo. Le motivazioni dell’atto presentato al Senato della Repubblica vanno dall’essersi reso inadempiente in ordine alle riforme promesse fino alle critiche di carattere tecnico in relazione, invece, alle riforme approvate, quali, ad esempio, quella sulle intercettazioni e sulla prescrizione, per finire con la recente questione sulle “scarcerazioni dei detenuti più vulnerabili al Covid-19”. In altre parole, le mozioni che sono state portate avanti, seppur bocciate, erano giunte  all’asserito “culmine del fallimento complessivo” dell’operato del ministro. L’emergenza ha stravolto i programmi di governo e introdotto nuove – straordinarie – regole. Dunque, evidentemente sono stati diversi anche i criteri di valutazione. Il giudizio sull’operato dell’esecutivo nella gestione della pandemia sarà certamente severo ma non è questo il momento per svolgerlo; la precedenza in questa fase deve essere rappresentata dalla ripartenza, dal sostentamento delle imprese e dalla gestione sanitaria del virus, che ancora oggi, provoca la morte di centinaia di persone e non ha ancora interrotto la sua diffusione. Ed infatti, proprio in relazione al giudizio sulle iniziative che ha assunto il governo in questo periodo occorre fin d’ora annotare, per quanto riguarda il settore giustizia, l’assoluta inadeguatezza delle misure adottate, a partire dall’improvvida idea di celebrare le udienze penali, di ogni genere, tramite i sistemi di Skype e Teams, entrambi di proprietà di Microsoft, coi noti risvolti in punto riservatezza. Una simile iniziativa, le cui derive sono rischiose ed anche foriere di incostituzionalità, è stata fortemente criticata dall’Unione delle Camere penali e da settori della Magistratura stessa, che hanno ottenuto l’eliminazione di tale idea in sede di emanazione del cosiddetto decreto Intercettazioni. Ancora, non si può non evidenziare l’assoluta confusione e mancanza di coordinamento tra i vari Palazzi di Giustizia italiani, ove si è assistito a un’incontrollata emissione di diversi protocolli da parte di ogni ufficio e settore, non allineati tra loro e che, in alcuni casi, portavano – e portano tuttora – a diverse soluzioni. Insomma, il sistema di giustizia con Manuali d’uso differenti secondo il principio “paese che vai, protocollo che trovi” che ha ridotto l’intera Macchina a singhiozzare e non a funzionare. Evenienza della quale il ministro Bonafede, superata l’emergenza, dovrà rendere conto. I problemi in merito alla gestione della crisi sanitaria, sono stati numerosi, ma al momento la priorità è la ripresa del Paese, aldilà di ogni individualismo. La censura, quindi, ad ogni iniziativa che può portare maggior instabilità deve essere chiara e netta ed accompagnata da soluzioni agevoli e connotate da immediatezza d’azione. *direttore di Ispeg - Istituto per gli Studi politici, economici e giuridici