Restare a casa, restare al sicuro. È trascorsa poco più di una settimana dall’ultimo decreto licenziato dal governo, ed ecco che il leitmotiv imposto dalle misure di contenimento del Coronavirus si scontra con le difficoltà della vita quotidiana e lascia esplodere le contraddizioni di una società travolta dall’emergenza sanitaria: il virus come moltiplicatore delle diseguaglianze sociali e come ulteriore pericolo per le donne vittime di violenza domestica. La convivenza forzata, infatti, può portare all’inasprimento delle relazioni di coppia in contesti familiari già esposti ad episodi di abusi e alla difficoltà pratica per le donne di chiedere aiuto. La particolare situazione di emergenza, inoltre, potrebbe comportare un significativo "impatto di genere": con le scuole chiuse e le strutture di sostegno sociale ferme, in molti casi il lavoro di cura domestica e familiare costituisce per le donne un doppio carico. Sugli effetti della pandemia si stanno già interrogando i movimenti femministi e la rete nazionale dei centri antiviolenza coordinati dall’Associazione Di.Re, che sul web hanno avviato una campagna per diffondere l'allarme e chiedere al governo misure adeguate per affrontare l'emergenza. «Sappiamo che il fenomeno della violenza sulle donne si manifesta nel 70-80% dei casi tra le mura domestiche e la quarantena le espone maggiormente», spiega la presidente di Di.Re Antonella Veltri. «In queste settimane - racconta Veltri - abbiamo registrato un calo considerevole delle segnalazioni in tutto il territorio nazionale: sappiamo per esperienza che non è un dato positivo. Significa che le donne hanno difficoltà a trovare lo spazio fisico e l’agibilità per chiedere aiuto: in questo senso stiamo lavorando a una campagna di comunicazione sui media perché le donne sappiano che non sono sole. Il silenzio in questo caso deve essere interrotto». Sin dall'inizio dell'epidemia i centri antiviolenza si sono organizzati con cellulari di emergenza per raccogliere le segnalazioni nel rispetto delle restrizioni, mentre nelle situazioni particolarmente a rischio sono previsti colloqui "protetti" in sede. «Ma le strutture che accolgono donne richiedenti asilo e rifugiate con cui anche D.i.Re lavora, non sono stati dotati di alcuna strumentazione, a partire dalle mascherine ormai praticamente introvabili e necessarie alle operatrici che devono continuare a svolgere il loro lavoro», sottolinea Veltri. Per sensibilizzare il governo al necessario sostegno economico delle realtà impegnate nell'emergenza, l’associazione ha rivolto un appello alla ministra delle pari opportunità Elena Bonetti che, intervenuta ieri alla trasmissione "Giorno per giorno" di Rai Radio1, ha annunciato la possibilità di alloggi e risorse straordinarie. «La porta per uscire dalla violenza è sempre aperta, anche in questi giorni. Noi ci siamo, chiamate il 1522, le case rifugio e i centri anti violenza sono sempre attivi», ha detto la ministra ricordando il numero verde della presidenza del consiglio. Ma proprio le case rifugio dislocate sul territorio nazionale rappresentano al momento la situazione di maggiore criticità: «sono tutte occupate - aggiunge Veltri - e quando arrivano richieste di accoglienza, come ce ne arrivano, siamo in difficoltà perché le donne che sono già in struttura non hanno piacere ad accogliere nuove figure dall’esterno per paura del contagio».