Il video l’hanno visto tutti. I cancelli sono aperti, fuori solo due pattuglie della polizia e un centinaio di detenuti evadono con apparente tranquillità. Solo alcuni scappano per raggiungere delle auto nel parcheggio con la speranza di rubarle e fuggire. Parliamo della più grande evasione di massa mai avvenuta in Italia e il protagonista è il carcere di Foggia, teatro della forte rivolta avvenuta il 9 marzo scorso.

A segnalare l’evento anomalo sono proprio un folto gruppo di familiari dei detenuti del carcere pugliese che hanno anche formato un comitato. Hanno prodotto un video, che Il Dubbio ha potuto visionare, nel quale si vede come il giorno prima della rivolta, i detenuti avevano iniziato una protesta pacifica con la cosiddetta battitura. «Possibile che visto gli avvenimenti dei quei giorni in tv e visto l’inizio di una protesta, nessuno sia riuscito a prendere provvedimenti prima?», si chiede il comitato.

Ma non solo. Dopo la rivolta i familiari vivono in una black out totale. Al comitato arrivano testimonianze di parenti i cui figli e mariti hanno chiamato lamentandosi di avere ancora addosso la roba di una settimana fa. «Il carcere di Foggia non vuole darci nulla e noi familiari non possiamo spedirli», denuncia la portavoce del comitato. Alla richiesta di avere indietro la roba, secondo quanto testimoniano i familiari, è che avrebbe provveduto il carcere a spedirla.

«Ma è passata una settimana, i nostri cari sono stati trasferiti lontano e non hanno ancora indumenti», denuncia il comitato dei familiari dei detenuti di Foggia. «Di alcuni di loro non si hanno ancora notizie, non ci danno notizie, qualcuno ha preparato e spedito pacchi con la roba ma a quanto pare per l’emergenza coronavirus il pacco è fermo e non può essere consegnato», testimoniano ancora i familiari.

Sono preoccupati, non hanno notizie. «Noi non possiamo stare zitti - tuonano i componenti del comitato -, vogliamo dei chiarimenti. Non giustifichiamo l'accaduto, hanno sbagliato ma hanno reagito per paura perché quel carcere è da anni che versa in condizioni critiche». Denunciano che la polizia penitenziaria di Foggia, il giorno della rivolta, non indossava mascherine perché il carcere non le avrebbe fornite. Poi il comitato sottolinea un evento che potrebbe far capire il motivo scatenante della rivolta. «Molti nostri compagni lamentavano di detenuti con febbre. È normale aver paura – spiegano i familiari -, noi vogliamo chiarimenti».

Una paura che però coinvolge – in generale - anche gli agenti penitenziari, i quali lamentano di non essere protetti. D’altronde numerosi sono i comunicati di varie sigle sindacali che chiedono provvedimenti, protezione e gestione efficace delle emergenze. Ma ritorniamo ai detenuti che sono riusciti ad evadere, poi riacciuffati. La compagna di uno di loro racconta a Il Dubbio

che soffre di asma e l’assistenza sanitaria del carcere foggiano non riuscirebbe ad assisterlo come dovuto. «Io sono consapevole che nel passato ha sbagliato. Però non si sarebbe mai comportato così. Io sono certa che lui era evaso per paura dell’epidemia: mi disse che se con un semplice attacco d’asma non lo curano, figuriamoci con il coronavirus . Non avrebbe mai fatto una cosa del genere – racconta accoratamente a Il Dubbio- . Non si sarebbe mai finito di rovinare con le sue stesse mani, se non avesse avuto così tanta paura».