Scriveva nel 1942, dall'interno del Ghetto di Varsavia, lo storico Emanuel Ringelblum: «Anche nei tempi più barbari, una scintilla umana brillava persino nel cuore più crudele e i bambini furono risparmiati. Ma la bestia hitleriana è molto diversa. Essa divora i più cari a noi, quelli che suscitano la massima compassione, i nostri figli innocenti». Oltre un milione e mezzo, tante furono le piccole vittime della Shoah: a loro è dedicata la mostra Shoah.

L'infanzia rubata, ospitata a Roma, dal 28 gennaio al 24 luglio, presso le sale della Casina dei Vallati, sede, dal luglio 2008, del Museo della Shoah. Ideata e prodotta dall'Associazione Figli della Shoah e organizzata dalla Fondazione Museo della Shoah in sinergia con la Comunità Ebraica di Roma, la rassegna, attraverso testimonianze e citazioni di diari, si appunta sulle difficili condizioni e le molteplici privazioni cui, durante gli anni della persecuzione nazifascista, furono sottoposti i bambini e i ragazzi di religione ebraica, deprivati di diritti essenziali come il gioco, l'istruzione, la libertà, la dignità e, in ultimo, la vita stessa. I bambini, a differenza degli adolescenti – che potevano essere impiegati come forza- lavoro e avevano quindi una possibilità lievemente maggiore di sopravvivenza – costituivano i soggetti più vulnerabili alle politiche persecutorie del nazismo, e, fra questi, i minori disabili furono le prime, tragiche vittime dell'Olocausto, avendo dovuto subire il programma di eutanasia del Terzo Reich volto a forgiare la cosiddetta “razza ariana”.

Furono proprio i bambini a dover sottostare, fin dal 1933, alle prassi discriminatorie della Germania nazista, proseguite nel 1938 in Italia con le leggi razziali fasciste.

La ferocia dei persecutori nei loro confronti non si allentò neanche quando era ormai chiaro che il secondo conflitto mondiale si stava risolvendo in una sconfitta manifesta per la Germania.

Pur in anni così drammatici, tuttavia, piccole luci di speranza si levavano contro quell'oscuro fondale di barbarie e disumanità, come quella mantenuta viva dal pedagogo, medico e scrittore polacco di origini ebraiche Janusz Korczak, di cui la mostra traccia il percorso morale, educativo e umano, con uno speciale approfondimento delle sue fondamentali opere letterarie, come il sempre attuale Il diritto del bambino al rispetto ( 1929). Ispiratore dell'odierna Convenzione Internazionale dei Diritti dei Bambini, si profuse fino agli ultimi istanti nel tentativo di alleviare le sofferenze dei bambini del proprio orfanotrofio, situato nel Ghetto di Varsavia. Non li abbandonò neanche quando, ordinati e vestiti con cura, la mattina del 5 agosto 1942 vennero deportati verso il campo di sterminio di Treblinka, condividendone l'atroce sorte.