Un tempo qui il sole te lo vendevano a palate, era un tiepido sogno di felicità e benessere. Tutto è cominciato alla fine del 19esimo secolo con la martellante campagna pubblicitaria per attirare i coloni; opuscoli, libri, inserzioni sui giornali che promettevano una vita “splendente” ad immagine del caldo sole dell’ovest che brilla almeno trecento giorni l’anno sulla città degli angeli.

È in questo periodo che Los Angeles inizia a diventare una metropoli, attirando ogni anno decine di migliaia di americani stanchi e sfibrati dai rigidi inverni montani, dal clima continentale della east coast e desiderosi di rifarsi una vita nel nuovo Eldorado californiano. Come racconta al New York Times l’urbanista Christopher Hawthorne oggi consulente del sindaco Eric Garcetti «la gente veniva per inseguire il sole e a Los Angeles lo trovava in grandi quantità». Veniva.

Per molti oggi la città degli angeli è diventata un inferno. Quel sogno luminoso è infatti riservato quasi esclusivamente ai ricchi e ai benestanti che vivono nelle villette dai viali alberati di Beverly Hills, nelle lussureggianti stradine di Bel Air o nelle sfarzose residenze di Santa Monica, dove 100 metri quadri con giardino costano decine di milioni di dollari. Basta una rapida occhiata all’immagine satellitare del bacino di Los Angeles per comprendere come il sole e l’ombra definiscano costantemente la geografia sociale metropolitana.

Le zone più verdi e boscose sono punteggiate di piscine e campi da golf, dove il sole si infiltra con dolcezza per accarezzare le schiere di eucalipti e i sentieri di ghiaia mentre i ficus maturi vegliano benevoli sullo shopping di alta fascia dei residenti. Anche nei giorni più roventi dell’anno per loro il caldo non è un grande problema, possono trovare riparo nelle boutique di lusso che spuntano come funghi e sfrecciare per le arterie principali protetti dall’aria condizionata dei suv.

Le zone marroni e giallognole a sud est della pianta urbana invece segnano il confine, quasi dickensiano, con tutt’altra dimensione, correndo lungo i quartieri dormitorio, i ghetti più o meno degradati, chilometri e chilometri di asfalto attorcigliato e squagliato dal sole che cade a picco, centinaia di fermate del bus prive di tettoie e pensiline dove un fazzoletto d’ombra vale più di una manciata d’oro.

Se la parte occidentale della città è ricoperta al 35% da vegetazione, nei sobborghi orientali la percentuale precipita al 10% e sembra a rischio di desertificazione, un divario che si traduce in termini di salute pubblica, dai problemi respiratori a quelli cardio vascolari, fino alla stessa lucidità mentale delle persone sottoposte alle sferzate del global warming.

Per motivi di «sicurezza» dall’inizio degli anni 2000 migliaia di alberi sono stati abbattuti dalle autorità locali, ufficialmente per combattere la micro- criminalità. Pare infatti che i cespugli e le radici siano buoni nascondigli per piccole quantità di droga e armi da fuoco, mentre nelle boscaglie prospera il traffico della prostituzione.

Così niente più alberi per milioni di abitanti, costretti a costruire ripari di fortuna, a piantare abusivamente i banani sui terrapieni e sistemare ombrelloni scalcinati sul ciglio dei marciapiedi per trovare un po’ di tregua dalla canicola. Come sostiene lo scrittore losangelino esperto di architettura Sam Bloch in un brillante articolo intitolato Shade e pubblicato sul sito web journalpalace «bisogna imparare a considerare l’ombra come una risorsa civica da condividere con tutti, per le persone vulnerabili allo stress da calore e all'esaurimento, lavoratori all'aperto, anziani, senzatetto, questa può essere la differenza tra vita e morte. L'ombra è quindi un indice di disuguaglianza».

Un concetto ribadito, quasi con il copia- incolla, dal sindaco Garcetti allarmato dall’impennata di malori e di ricoveri ospedalieri dovuta all’ondata di caldo eccezionale di questo autunno, con uno dei mesi di ottobre più infuocati di sempre: «La distribuzione dell’ombra è una questione di equità sociale, fino ad ora non abbiamo fatto nulla per affrontare il problema, dobbiamo cambiare rotta», ha detto il primo cittadino. Secondo i dati raccolti dall’Università di California (Ucla) i giorni che portano il bollino rosso di «calore estremo» ( oltre i 45 gradi) sono stati sette nel 2019 e saranno circa venti nel 2050 per arrivare a oltre cinquanta a fine secolo.

Per questo l’amministrazione municipale ha deciso di dichiarare guerra alla “tirannia del sole”: verranno costruite nuove pensiline, saranno concepiti nuovi punti di ristoro, le strade riasfaltate con materiali di ultima generazione che disperdono il calore senza trattenerlo e soprattutto saranno piantate migliaia di alberi, con buona pace della polizia locale.

La regia è affidata a Hawthorne che ama citare un libro di racconti su Los Angeles pubblicato nel 1942 dallo scrittore Timothy Turner dal titolo Turn Off the Sunshine: «Ci sono giorni in cui tutti noi a Los Angeles vorremmo poter spegnere il sole e a causa dei cambiamenti climatici quei giorni sono sempre più numerosi. Se non è possibile spegnerlo allora è necessario aumentare le zone di sollievo, perché la città sia a misura di tutti e non solo dei più ricchi».