Quello che molti osservatori inbternazionali temevano è successo, inevitabilmente i curdi dopo aver perso l'appoggio degli Usa hanno stretto un accordo con il presidente siriano Asad per contrastare l'invasione turca del nord della Siria. Da ieri infatti contingenti dell'esercito regolare siriano sono partiti da Damasco per raggiungere le zone acontrollate dalle Forse democratiche siriane, l'Fds (coalizione di unità militari curdo arabe) potrà contare dunque sul sostegno di Assad. Il contingente ha cominciato già a posizionarsi nella zona di Tel Tamer, a 35 km da Ras al- Ain, città curda caduta sotto i colpi dell'esercito turco. Si tratta di uno snodo fondamentale in quanto è un centro adiacente all'importante via di comunicazione M4, un'autostrada. C'è però una certa confusione su quello che faranno i siriani perchè se da un lato i comandi curdi sostengono che per «evitare e affrontare questa aggressione è stato raggiunto un accordo con il governo siriano. In questo modo l'esercito siriano può essere dispiegato lungo il confine siro-turco per aiutare le Forze democratiche siriane (Fds)» con l'obiettivo di «liberare le città siriane occupate dai turchi, come Afrin" nel Nord-Ovest», dall'alltro Erdogan ha affermato ieri che la Russia avrebbe dato via libera ad un attacco turco contro le città di Kobane e Manbj. Difficile capire quale sia la verità, innanzitutto perchè non esiste allo stato attuale la certezza su dove saranno schierate in futuro le forze di Assad, poi perchè gli stessi curdi hanno parlato attraverso il capo Sdf Mazloun Abdi riconoscendo che con il rais di Damasco «ci sarebbero stati dolorosi compromessi». «Non ci fidiamo delle loro promesse - ha detto Abdi nel corso di un'intevista alla rivista Foreign Policy -. Ad essere onesti, è difficile sapere di chi fidarsi. Ma se dobbiamo scegliere tra i compromessi e il genocidio della nostra gente, sicuramente sceglieremo la vita per la nostra gente». In ogni caso le possibilità di un confronto armato tra esercito regolare siriano e quello turco è un'eventualità dalle altissime probabilità e dagli esiti imprevedibili che non potrà non avere pesanti ripercussioni su tutta la regione. Su tutto ciò la decisione di Trump di ordinare il ritiro delle truppe statunitensi assume un significato fondamentale. La forza deterrente nei confronti dei turchi è infatti saltata immediatamente spianando la strada all'invasione e al cambio di alleanze in corso. Sembrano poco credibili le dichiarazioni del segretario alla Difesa Usa Mark Esper il quale ha sostenuto che la partenza dei soldati statunitensi sia dovuta al pericolo di essere presi in mezzo ai due eserciti turco e siriano. Come si trattasse di eventi inevitabili e non conseguenze di un cambio di strategia. Dal punto di vista militari oltre alla caduta in mano turca della città di Ras al-Ain, si registrano ancora violenti combattimenti a Tal Abyad, 120 km dal confine. Le notizie sono comunque frammentarie e contrapposte, i curdi sostengono di aver respinto l'offensiva ma l'Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) ha affermato il contrario così come il comando turco. Normale propaganda di guerra che però non può nascondere che il bilancio delle vittime si aggrava sempre di più. Più di 50 civili e almeno 100 combattenti curdi sono le vittime a nord est, Ankara parla invece di 440 morti tra le fila dell'Fds. Ma scontri con morti si sono verificati anche in territorio turco. Critica la situazione degli sfollati fuggiti dalla zona di guerra, sarebbero almeno 200mila come riferito dal'agenzia umanitaria delle Nazioni Unite (OCHA). Le diplomazie internazionali sono intanto al lavoro, la Ue tenta di trovare a fatica una posizione comune, contatti e incontri si sono tenuti tra il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio e quello francese Le Drian. La via sembra essere quella di un blocco riguardante la vendita di armi alla Turchia. Intenzione confermata anche dal responsabile Esteri tedesco Heiko Maas il quale ha parlato ancora di dialogo ma che se «non funzionerà dovremo pensare ad altre misure». Erdogan invece continua nella sua ferma intenzione di proseguire nell'offensiva, non sono bastati gli avvertimenti giunti da Angela Merkel e Boris Johnson. Il presidente turco infatti ha detto che le cancellerie europee hanno «grande disinformazione», quella di Ankara infatti sarebbe un'operazione di polizia contro dei terroristi.