Come ha scritto Jason Horowitz sul New York Times, in un anno Giuseppe Conte è passato “da irrilevante a insostituibile”. L’autorevole opinionista ha colto in pieno quella che ormai è la posizione di centralità dell’avvocato Premier sulla scena italiana e internazionale. Ora, lasciamo all’analisi politica le considerazioni sul “perché” questo sia avvenuto, e concentriamoci sulla comunicazione, cioè sul “come”. Volendo spiegare con una formula la crescita nei sondaggi di popolarità, che oggi per Conte supera il 50%, possiamo dire: “Nel medio- lungo periodo, ha successo chi non si conforma e fa il contrario di quello che fanno tutti gli altri”. Il presidente del Consiglio incaricatoè cresciuto perché, a differenza degli altri, ragiona e non grida. Media tra le posizioni e non attacca rabbiosamente. Studia i dossier e non prende decisioni avventate. Vediamo i dettagli. Nell’immagine di un leader ci devono essere dei tratti costanti, che chiamiamo “invarianti”. Ma dobbiamo trovare anche delle dimostrazioni di flessibilità e adattabilità, cioè delle “mutazioni”. Le prime, proprio perché invarianti, devono essere semplici e riconoscibili da tutti. Le seconde devono stimolare l’attenzione e fare notizia. Altrimenti si incorre nell’assuefazione, e si rischia di diventare, invece che “il presidente Conte”, “il solito Conte”. Ma l’avvocato di Volturara Appula ha saputo dribblare in scioltezza queste prove.

Ecco due delle principali invarianti: linguaggio e aspetto fisico. Il suo italiano è corretto – si sente che c’è stato negli anni lo sforzo di tenere a briglia le origini foggiane, anche con esercizi di dizione. Il professore sceglie le parole con cura, per farsi capire da tutti: le dimissioni vengono annunciate in Senato con un semplice “il Governo finisce qui”, e il Conte- bis viene proposto con “sarà un Governo di novità”. Non si lascia andare a “colloquialismi” bassi o a insulti – pensiamo al “vaffa” del M5S o alla “zingaraccia” di Salvini – e si capisce che qui non fa alcuno sforzo. Anni di studi ( incluso il Collegio di Villa Nazareth) hanno affinato il suo carattere di persona civile, e che non cede per narcisismo al latino giuridico ( non dice “de plano”, “per acta”, “in itinere” e simili).

In secondo luogo, l’aspetto fisico. Gli analisti sono abituati da tempo a commentare le scarpe di Michelle Obama, gli abiti di Brigitte Macron, gli orologi di Renzi o le infradito di Salvini. Ma nel caso di Conte il messaggio è più profondo. Gli abiti sartoriali e le cravatte stirate, con buona pace dei sostenitori pentastellati, sono un inno alla democrazia rappresentativa, non a quella diretta. Si mostra in impeccabili completi formali in modo che tutti gli italiani, anche chi indossa abiti da lavoro, possano dire “si veste bene per rispetto delle Istituzioni, fa un mestiere importante e mi rappresenta nel mondo”. Al contrario, i politici che si vestono “smart casual” – o addirittura con sciatteria – provocano un senso “diretto” di identificazione con la vita di tutti: “si veste così perché è uguale a me, è uno di noi”. E in democrazia diretta, si sa, “uno vale uno”.

Ma la cosa più interessante della comunicazione del professore sono state proprio le mutazioni, impercettibili e costanti, di comportamento e di linguaggio. Nelle riunioni internazionali lo si è visto all’inizio un po’ impacciato, poi sempre più sciolto e talvolta addirittura con la mano sulla spalla dei suoi colleghi stranieri, o seduto con Angela Merkel come vecchi amici nel famoso video fuori onda del “succo d’arancia”.

Segno che sa creare leve di simpatia anche con personalità non facili e piene di pregiudizi verso gli italiani. Nel vocabolario contiano siamo passati dall’adesione alla cultura populista dei grillini (“l’avvocato del Popolo”), all’assunzione di valori nazionali generali ( sempre più spesso ha detto di agire “nell’interesse dell’Italia e degli italiani”), per poi toccare, nel suo discorso al Quirinale in occasione del secondo incarico, un tema più spiccatamente europeo, caro anche alla Chiesa cattolica, come quello della cittadinanza (“Governo per i Paese e per i cittadini”).

E anche qui attenzione ai passaggi: nel suo precedente mandato, Conte fu l’unico presidente del Consiglio della Storia italiana a convocare una conferenza stampa ( giugno 2019) proprio per ricordare ai suoi Vice che il Presidente era lui. Ma anche questo evento del tutto inusuale gli servì per acquisire centralità e in qualche modo liberarsi dalla tutela troppo stringente dei due partner dell’esecutivo. Sono momenti importanti, che mostrano come il premier neo- incaricato ( l’unico che è apparso a suo agio anche con il cerimoniale e i comportamenti formali dello staff del Quirinale) si sia ormai “smarcato”, e abbia assunto una decisa posizione di “terzietà” tra i contraenti, anche in questo nuovo Governo in fieri. Zingaretti, Di Maio e soci prendano nota: l’Umanesimo di cui parla Giuseppe Conte non sarà una passeggiata nel passato, ma un percorso pieno di novità e sorprese.

Come ha scritto Jason Horowitz sul New York Times, in un anno Giuseppe Conte è passato “da irrilevante a insostituibile”. L’autorevole opinionista ha colto in pieno quella che ormai è la posizione di centralità dell’avvocato Premier sulla scena italiana e internazionale. Ora, lasciamo all’analisi politica le considerazioni sul “perché” questo sia avvenuto, e concentriamoci sulla comunicazione, cioè sul “come”. Volendo spiegare con una formula la crescita nei sondaggi di popolarità, che oggi per Conte supera il 50%, possiamo dire: “Nel medio- lungo periodo, ha successo chi non si conforma e fa il contrario di quello che fanno tutti gli altri”. Il presidente del Consiglio incaricatoè cresciuto perché, a differenza degli altri, ragiona e non grida. Media tra le posizioni e non attacca rabbiosamente. Studia i dossier e non prende decisioni avventate.

Vediamo i dettagli. Nell’immagine di un leader ci devono essere dei tratti costanti, che chiamiamo “invarianti”. Ma dobbiamo trovare anche delle dimostrazioni di flessibilità e adattabilità, cioè delle “mutazioni”. Le prime, proprio perché invarianti, devono essere semplici e riconoscibili da tutti. Le seconde devono stimolare l’attenzione e fare notizia. Altrimenti si incorre nell’assuefazione, e si rischia di diventare, invece che “il presidente Conte”, “il solito Conte”. Ma l’avvocato di Volturara Appula ha saputo dribblare in scioltezza queste prove. Ecco due delle principali invarianti: linguaggio e aspetto fisico. Il suo italiano è corretto – si sente che c’è stato negli anni lo sforzo di tenere a briglia le origini foggiane, anche con esercizi di dizione. Il professore sceglie le parole con cura, per farsi capire da tutti: le dimissioni vengono annunciate in Senato con un semplice “il Governo finisce qui”, e il Conte- bis viene proposto con “sarà un Governo di novità”. Non si lascia andare a “colloquialismi” bassi o a insulti – pensiamo al “vaffa” del M5S o alla “zingaraccia” di Salvini – e si capisce che qui non fa alcuno sforzo. Anni di studi ( incluso il Collegio di Villa Nazareth) hanno affinato il suo carattere di persona civile, e che non cede per narcisismo al latino giuridico ( non dice “de plano”, “per acta”, “in itinere” e simili).

In secondo luogo, l’aspetto fisico. Gli analisti sono abituati da tempo a commentare le scarpe di Michelle Obama, gli abiti di Brigitte Macron, gli orologi di Renzi o le infradito di Salvini. Ma nel caso di Conte il messaggio è più profondo. Gli abiti sartoriali e le cravatte stirate, con buona pace dei sostenitori pentastellati, sono un inno alla democrazia rappresentativa, non a quella diretta. Si mostra in impeccabili completi formali in modo che tutti gli italiani, anche chi indossa abiti da lavoro, possano dire “si veste bene per rispetto delle Istituzioni, fa un mestiere importante e mi rappresenta nel mondo”. Al contrario, i politici che si vestono “smart casual” – o addirittura con sciatteria – provocano un senso “diretto” di identificazione con la vita di tutti: “si veste così perché è uguale a me, è uno di noi”. E in democrazia diretta, si sa, “uno vale uno”.

Ma la cosa più interessante della comunicazione del professore sono state proprio le mutazioni, impercettibili e costanti, di comportamento e di linguaggio. Nelle riunioni internazionali lo si è visto all’inizio un po’ impacciato, poi sempre più sciolto e talvolta addirittura con la mano sulla spalla dei suoi colleghi stranieri, o seduto con Angela Merkel come vecchi amici nel famoso video fuori onda del “succo d’arancia”. Segno che sa creare leve di simpatia anche con personalità non facili e piene di pregiudizi verso gli italiani. Nel vocabolario contiano siamo passati dall’adesione alla cultura populista dei grillini (“l’avvocato del Popolo”), all’assunzione di valori nazionali generali ( sempre più spesso ha detto di agire “nell’interesse dell’Italia e degli italiani”), per poi toccare, nel suo discorso al Quirinale in occasione del secondo incarico, un tema più spiccatamente europeo, caro anche alla Chiesa cattolica, come quello della cittadinanza (“Governo per i Paese e per i cittadini”). E anche qui attenzione ai passaggi: nel suo precedente mandato, Conte fu l’unico presidente del Consiglio della Storia italiana a convocare una conferenza stampa ( giugno 2019) proprio per ricordare ai suoi Vice che il Presidente era lui. Ma anche questo evento del tutto inusuale gli servì per acquisire centralità e in qualche modo liberarsi dalla tutela troppo stringente dei due partner dell’esecutivo. Sono momenti importanti, che mostrano come il premier neo- incaricato ( l’unico che è apparso a suo agio anche con il cerimoniale e i comportamenti formali dello staff del Quirinale) si sia ormai “smarcato”, e abbia assunto una decisa posizione di “terzietà” tra i contraenti, anche in questo nuovo Governo in fieri. Zingaretti, Di Maio e soci prendano nota: l’Umanesimo di cui parla Giuseppe Conte non sarà una passeggiata nel passato, ma un percorso pieno di novità e sorprese.