Dopo l’incontro col presidente Mattarella, Di Maio apre la trattativa con i dem e chiarisce: «Non è il momento del voto».

«Sono state avviate tutte le interlocuzioni necessarie per individuare una maggioranza solida». Luigi Di Maio esce dallo studio di Sergio Mattarella col volto di chi porta sulle spalle il peso del fallimento di una linea politica filoleghista. Appare insicuro, scuro in volto e con la voce incerta. Non parla a braccio, legge un comunicato già concordato dalla cabina di regia pentastellata sotto lo sguardo attento del capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli, che non stacca gli occhi dal foglio posizionato sul podio, quasi ad accertarsi che il capo politico non improvvisi. Il succo del discorso è: niente elezioni anticipate.

Perché le decisioni importanti ormai passano attraverso altri canali, sull’asse Milano- Bibbona. Davide Casaleggio e Beppe Grillo hanno preso in mano la situazione ed esautorato di fatto il leader del Movimento. La politica dei due forni, tanto sbandierata alle consultazioni di poco più di un anno fa, è archiviata. Adesso esiste solo un’alternativa alle urne e si chiama Nicola Zingaretti.

Senza un accordo col Pd il M5S rischia lo schianto elettorale. Per questo ora il capo grillino non può far altro che leggere un foglio scritto altrove. Le lusinghe di Matteo Salvini ( «ritengo che Di Maio abbia lavorato bene» ) devono essere rispedite al mittente.

Al Presidente della Repubblica «abbiamo portato le nostre preoccupazioni, soprattutto per i rischi che vanno delineandosi per l’economia italiana e per milioni di famiglie, in relazione a un possibile aumento dell’Iva e del ritorno alla legge Fornero», dice il vice premier uscente. «Qui non si rischia di tornare indietro al 4 marzo 2018, qui si rischia di portare il Paese a una condizione non diversa da quella della crisi del 2008 e non è giusto che a pagare questa crisi siano proprio i cittadini italiani», spiega Di Maio, deglutendo a fatica.

«Il M5S ha la maggioranza relativa in Parlamento e ha ottenuto questo primato perché i cittadini italiani ci hanno chiesto di cambiare questo Paese profondamente, non di assecondare calcoli politici o capricci estivi». Il coraggio non è di chi «scappa ma di chi prova fino alla fine a cambiare le cose, anche sbagliando, con spirito di sacrificio, senza mollare mai, provando a fare qualcosa per l’Italia e per le future generazioni», aggiunge.

Già, il sacrificio, perché è questo che chiede Zingaretti ai 5Stelle per accettare un accordo. I tre punti imprescindibili elencati dal segretario dem - cancellazione dei decreti sicurezza, accordo sulla manovra e stop al taglio dei parlamentari servono proprio a mettere all’angolo il Movimento e costringerlo a ammettere la sconfitta in cambio di un salvagente.

A Di Maio non resta che trattare per trovare un’intesa che non umili il primo partito in Parlamento. E ai paletti del Pd, il leader pentastellato contrappone 10 punti programmatici. Di cui solo uno, il primo, rappresenta una sfida al potenziale alleato: il taglio dei parlamentari. Una battaglia fondante per il Movimento 5 Stelle, a cui quasi nessun grillino vorrebbe rinunciare. Per il resto, solo richieste compatibilissime col mini programma esposto da Zingaretti: una manovra economica equa, politiche ambientali più incisive, legge sul conflitto d’interessi, giustizia efficiente e riforma del Csm, autonomie differenziate in versione soft, legalità, piano di investimenti per il Sud, riforma del sistema bancario e tutela dei beni comuni.

Se però la trattativa fallisse, sullo sfondo rimane la rinnovata disponibilità della Lega a ricominciare l’avventura di governo su altri presupposti. Per il momento i 5Stelle evitano di escludere categoricamente questa ipotesi, per avere più margini di manovra nel negoziato col Pd e per paura di uno sfilacciamento dei gruppi parlamentari, tra cui ancora si aggirano alcuni senatori nostalgici del Carroccio.

A partire da Gianluigi Paragone, ex direttore della Padania eletto tra le file pentastellate, che su Facebook non ha lesinato critiche alla sinistra zingarettiana. «C’è vita nel M5s», spiega a proposito su Twitter Claudio Borghi, presidente leghista della commissione Bilancio di Montecitorio. «Lui ha il coraggio di scrivere, altri mi telefonano. Mi preoccupa però il silenzio di alcuni che ero davvero convinto fossero vivi ma a questo punto mi vengono dubbi... c’è tempo, non tantissimo ma c’è». Come dire: lo scouting salviniano tra i senatori M5S è già in corso e potrebbe far saltare all’ultimo minuto un’intesa tra dem e grillini.

Ma l’assemblea dei parlamentari pentastellati, in serata, dà pieno mandato a Di Maio, Patuanelli e D’Uva per incontrare la delegazione Pd per avviare il confronto.

Ma il tempo stringe, il Capo dello Stato ha concesso solo quattro giorni: entro martedì i due partiti dovranno sciogliere le riserve, o l’unica strada percorribile saranno le elezioni.

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