Maria Chindamo e Francesco Vangeli non hanno forse molto in comune, ma le loro storie si intrecciano in maniera tragica. Perché entrambi sono scomparsi, quasi sicuramente morti, nello stesso territorio - il vibonese - senza che dei loro corpi sia rimasta traccia. E perché ieri, nella stessa giornata, le procure di Vibo e quella distrettuale di Catanzaro hanno segnato un passo in avanti nella soluzione dei rebus che portano il loro nome. E che sembrano avere una matrice comune: la libertà di scelta. Per Francesco, 26 anni appena, fatale sarebbe stato la storia d’amore per una ragazza che un altro desiderava e pretendeva fosse sua. E lo pretendeva con il piglio tipico dei mafiosi, secondo la Dda, che ha scandagliato i messaggi minacciosi invitati da Antonio Prostamo, nipote del boss Nazzareno Prostamo, di San Giovanni di Mileto, al giovane. Maria, invece, avrebbe forse pagato con la vita la decisione di lasciare quel marito che, distrutto dal dolore, ha scelto di suicidarsi.

Così i due sono scomparsi. In momenti diversi - tre anni fa Maria, ad ottobre scorso Francesco -, ma entrambi portando dietro al proprio nome la tragica etichetta della lupara bianca.

Il caso Vangeli. Sul registro degli indagati ci sono Antonio Prostamo e suo fratello Giuseppe. Ma anche la fidanzata di Francesco e alcuni amici intimi, questi ultimi accusati di aver ostacolato le indagini mentendo. Per la Dda, il giovane di Filandari sarebbe attirato con un tranello a casa di Prostamo, poi giustiziato a colpi di fucile e, ancora agonizzante, gettato nel fiume Mesima. Il suo corpo, secondo il procuratore Nicola Gratteri, che ha illustrato le indagini condotte dai pm Antonio De Bernardo e Anna Frustaci, sarebbe poi finito in mare aperto. A descrivere il quadro quei messaggi whatsapp che tradiscono l’odio di Prostamo, convinto che il figlio che la fidanzata di Vangeli porta in grembo fosse suo. «La lasci stare o ci dobbiamo ammazzare scriveva alla vittima - lei è mia». Il 30enne, che si trovava ai domiciliari per altri reati al momento del fatto, è accusato di omicidio aggravato dal metodo mafioso. Il piano è stato quello di attirare Vangeli a casa Prostamo con la scusa di commissionare un tavolo in ferro battuto. Ma Vangeli, consapevole del pericolo, aveva avvisato alcuni amici, uno dei quali, dopo averlo accompagnato sul posto, è stato mandato via. Così, al termine del “confronto” con i due fratelli, i Prostamo hanno eseguito la loro sentenza per Vangeli.

La scomparsa di Maria Chindamo. Gli assassini di Maria non hanno ancora un nome, ma forse c’è quello di uno dei complici. Perché ieri la procura di Vibo ha arrestato un vicino di casa, Salvatore Ascone, che ha manomesso le telecamere di videosorveglianza della sua casa la sera prima della scomparsa di Maria. Ed era tutto calcolato. Agli inquirenti è bastato analizzare i file di log del sistema di videosorveglianza per trovare le manomissioni, una pista suggerita da un pentito del clan Mancuso, Emanuele, figlio di Pantaleone, ai vertici del clan di Limbadi. Maria sarebbe stata aggredita appena scesa dall’auto di fronte alla sua proprietà a Limbadi, dopo una colluttazione che ha lasciato sul mezzo il suo sangue. Poi sarebbe stata trascinata su un altro mezzo, che l’ha portata via da lì per sempre. Il pm Concettina Iannazzo cerca ora assassino e movente. Per la famiglia di Maria, la sua morte avrebbe a che fare con il suicidio del marito, Ferdinando, avvenuto esattamente un anno prima della sua scomparsa. E con la sua scelta di vivere per se stessa.