«Hirak si è dimostrato finora un movimento pacifico, nonostante le cose possano cambiare per via di manovre sotterranee atte a snaturarne l'essenza. Vi è sicuramente tra i manifestanti chi attende l'occasione giusta per vendicarsi di tutte le sofferenze che il potere ha inflitto sulla popolazione dopo l'indipendenza del Paese, ma credo che la maggior parte di essi desiderino che Hirak mantenga fino alla fine il proprio carattere pacifico e civile. Se ci deve essere risarcimento dei danni passati, ciò avverrà per via giudiziaria, attraverso l'esercizio di una giustizia indipendente e nel tracciato di un rigoroso stato di diritto». Lo scrittore algerino Boualem Sansal sta parlando del movimento di protesta popolare che ha indotto alle dimissioni l' 82enne ex- Presidente Abdelaziz Bouteflika, in carica da quasi 20 anni, e spinto, in una prospettiva di discontinuità con il precedente governo, il Presidente ad interim Bensalah ad annunciare nuove elezioni presidenziali in data 4 luglio.

Fra le voci più rappresentative del panorama letterario algerino contemporaneo, Sansal segue con partecipazione e spiccata lucidità le dinamiche socio- politiche che innervano l'inquieta attualità del suo Paese, con particolare attenzione all'incidenza che su esso promana il fondamentalismo islamico, come dimostrato da opere quali 2084. La fine del mondo ( Neri Pozza, 2016) e Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitarismo islamista ( Neri Pozza, 2017).

Sansal, si assisterà a un reale cambiamento in Algeria, ora che il vecchio Presidente Abdelaziz Bouteflika ha rassegnato le dimissioni?

Purtroppo non ci credo molto. In verità, non è stato Hirak ad aver fatto dimettere il Presidente Bouteflika quanto invece lo Stato Maggiore dell'Esercito, allo scopo di proteggersi e preservare il regime. Dopo Bouteflika è toccato al governo, quindi al Presidente del Consiglio costituzionale e infine a quegli oligarchi che il popolo accusa d'aver portato il Paese alla rovina. Per il momento, dopo dieci settimane di manifestazioni che hanno riunito milioni di persone, il sistema è ancora in piedi: si è solamente sbarazzato dei rami secchi, di figure particolarmente invise agli algerini.

Ritiene che si arriverà a un ricambio governativo che porterà alla cancellazione delle famigerate “tre B” – il Presidente della Camera Alta Abdelakder Bensalah, il capo del Consiglio Costituzionale Tayeb Belaiz e il primo ministro Noureddine Bedoui –, simboli del precedente potere?

Lo Stato Maggiore dell'Esercito si libererà delle “tre B” solo dopo averle impiegate per guadagnare tempo e gravare sulla popolazione che manifesta tutti i venerdì e sciopera gli altri giorni della settimana, mentre continuerà a vendersi quale amico fedele dei manifestanti ed elemento di garanzia della transizione. In questo frangente ha gioco facile, in quanto i manifestanti stessi non riescono a organizzarsi al meglio: il popolo cerca di fare passi avanti, con il timore tuttavia di scegliere figure provenienti dallo Stato Maggiore che tradiscano per interesse o incompetenza, o che non si rivelino abbastanza forti e unite da resistere a pressioni di ogni sorta, incluse quelle straniere.

Il ministro della Difesa Gaid Salah si è schierato dalla parte del popolo. Qual è il ruolo dell'esercito in questa delicata transizione?

Nessuno sa cosa pensi realmente Gaïd Salah. Forse vorrebbe vestire i panni di un Sissi, un Boumediene, un De Gaulle ( sempre molto amati in Algeria, in Africa e nel mondo arabo), un Erdogan, un Kemal Ataturk. In ogni caso, nutre forti ambizioni: è riuscito a fare dell'esercito algerino un esercito moderno, professionale, disciplinato, rendendolo il primo in Maghreb, il secondo in Africa, il ventitreesimo nel mondo. Egli parla a nome dello Stato Maggiore dell'esercito e dei servizi segreti e, in tale veste, conduce il proprio gioco come si conduce una guerra, adoperando depistaggi, trucchi, propaganda, manipolazione, con la volontà, sembrerebbe, di indebolire i manifestanti, disorientarli e a piccoli tocchi portarli a uno stallo in cui potranno essere facilmente sconfitti. A mio avviso, l'Esercito, che ha sempre rappresentato la sola forza organizzata in Algeria, ritiene il popolo non abbastanza maturo da conseguire l'indipendenza, soprattutto nell'attuale contesto, estremamente complesso e pericoloso, del Mediterraneo, del Maghreb e del Sahel. Sa anche che la componente islamista della popolazione, anch'essa molto ben organizzata e collegata all'Internazionale islamista ( Turchia, Arabia, Daesh, AQMI...) è molto consistente e potrebbe trarre vantaggio dall'allontanamento del potere dalle mani dell'esercito. Il popolo è al corrente di tutto questo, grazie all'attività di intellettuali che lo hanno ragguagliato e che in esso confidano ( quali l’avvocato Bouchachi, gli economisti Benbitour e Ferhat Aït- Ali, i politici Zoubida Assoul e Sofiane Djilali…) ma non sembra in grado di trasformare la propria forza e sovranità in opportunità concrete di azione e di comando.

Crede che le potenze regionali – dall'Arabia Saudita all'Egitto – e la Francia influenzeranno gli esiti di questa lotta per il rinnovamento? E se sì, in quale misura?

Per il momento, le potenze straniere ( Paesi arabi, Turchia, Francia, USA, Russia, Cina) osservano da lontano gli accadimenti in corso per non essere accusati dagli algerini di ingerenza negli affari interni del Paese. Una diplomazia segreta si è tuttavia messa in moto per tentare di comprendere chi è chi e chi fa cosa. Quel che è certo è che tutti questi Paesi mostrano preoccupazione al riguardo. Alcuni dei possibili scenari non li rassicurano affatto. Un'Algeria conquistata alla democrazia rappresenterebbe un danno per i Paesi arabi e musulmani, i quali temono effetti di contagio che indurrebbero i propri popoli all'imitazione. Un'Algeria che ritorni al precedente ordine militare sarebbe invece fonte di preoccupazione per i Paesi vicini, dovendo accettare a quel punto la presenza, nel Maghreb, di una pericolosa leadership algerina. Un'Algeria guadagnata alla causa islamista – di cui serba speranze Daesh per ricostruire il proprio califfato perduto in Siria e Iraq, ma anche la Turchia, che sogna di ricostituire quel califfato ottomano di cui l'Algeria è una parte importante – costituirebbe uno scenario spaventoso che destabilizzerebbe durevolmente il mondo. Possiamo quindi immaginare come le potenze straniere siano fortemente tentate di influenzare l'evoluzione delle cose nella prospettiva che più gli conviene.

Quali saranno invece le ripercussioni per l'Algeria della destabilizzazione libica?

La Libia è già notevolmente destabilizzata, cosa che obbliga il governo algerino a mantenere una sorveglianza permanente piuttosto costosa lungo la frontiera con questo Paese. Non passa giorno senza che avvengano bizzarre incursioni dalla Libia in territorio algerino. Una maggiore destabilizzazione, tuttavia, obbligherebbe il governo algerino a impegnarsi militarmente in territorio libico per impedire che i disordini si diffondano anche all'interno dei propri confini, ma una tale prospettiva comporterebbe conseguenze disastrose per tutta la regione, incluso l'Egitto che sostiene il generale Haftar. Stretta fra questi due Paesi, la Tunisia corre invece il rischio di scomparire nella tormenta. Temo anche che nel contesto attuale, in cui il popolo rigetta il potere algerino, quest'ultimo intenda al contrario permettere al conflitto libico di espandersi in territorio algerino in modo da ricompattare la popolazione intorno a sé e ostacolare la marcia verso la democrazia.

In molti suoi scritti, lei ha analizzato la minaccia che il fondamentalismo islamico rappresenta per la società algerina. Ritiene che in questo particolare momento esso possa trovare ancora maggior presa?

Il popolo algerino è molto attaccato alla religione, ma questa si è evoluta: ha poco a che fare con l'islamismo ancestrale, considerevolmente regredito e radicalizzato sotto l'influenza degli islamisti e dei salafiti ( algerini, ma in egual misura sauditi, turchi, egiziani), mentre il governo ha strumentalizzato la religione per distrarre la popolazione e allontanarlo dai valori democratici ( sono state costruite durante il regno ventennale di Bouteflika più moschee che in tutto il secolo precedente, latrici di notevole influenza). I dibattiti che avranno luogo durante la transizione, e in special modo nel corso dei lavori dell'Assemblea Costituente che i manifestanti intendono insediare per definire il progetto della nuova società algerina, saranno tutti incentrati sul posto che dovrà spettare alla religione, alla sharia e alla donna. La mia conoscenza della società algerina e, più in generale, delle società arabo- musulmane, mi permette di prevedere che le frange conservatrici prevarranno ampiamente e faranno di tutto per bloccare il sistema e impedire alle aspirazioni libertarie di trovare adeguata espressione. La fuoriuscita dell'esercito dall'ambito politico e dunque dalla sfera del potere rappresenterà, in queste condizioni, un fattore peggiorativo. Si giungerà a una situazione tipicamente saudita o iraniana, in cui l'esercito non ricoprirà alcun ruolo politico e si assisterà alla costituzione di potenti forze paramilitari religiose ( come i pasdaran in Iran o la polizia religiosa in Arabia Saudita), che si comportano alla stregua di inflessibili guardiani del tempio. Ecco perché non smetto di raccomandare un'uscita dalla crisi negoziata tra lo Stato Maggiore dell'Esercito e quei dirigenti di cui i manifestanti vogliono dotarsi per costruire l'Algeria del domani, un'Algeria democratica, lontana da estremismi religiosi, rivoluzionari o di altra natura. Questa costituisce ai miei occhi la strategia più ragionevole.