«Nessuno tocchi la Giudecca!», scrivono in un comunicato l’osservatorio carceri dell’Unione della camere penali in merito alla presunta esistenza di una bozza scaturita dopo l’ ispezione disposta dal Dap, all'interno dell'istituto femminile veneziano della Giudecca, dall' 11 al 14 febbraio, per acquisire notizie utili a chiarire il tragico epilogo dell'agente di polizia penitenziaria Maria Teresa Trovato, detta “Sissy”, ferita a morte da un colpo di pistola esploso all'interno dell'ascensore dell'Ospedale Civile di Venezia, l' 1 novembre del 2016 e deceduta, dopo oltre due anni di coma, il 12 gennaio di quest'anno.

«Abbiamo preparato questo comunicato – spiega a Il Dubbio l’avvocato Gianpaolo Catanzariti, responsabile dell’osservatorio carcere delle Camere penali - dopo che il Gazzettino ha pubblicato la bozza». L’avvocato delle Camere penali spiega che tale provvedimento sarebbe scaturito da una vicenda singolare. «Un parlamentare di Forza Italia – racconta Catanzariti – fa un’interpellanza urgente sulle indagini sul presunto suicidio della giovane agente penitenziaria Sissy Trovato Mazza». Una interpellanza che chiedeva però l’opportunità di verificare «se vi siano stati profili di incompatibilità – si legge nell’interpellanza a firma dei parlamentari Francesco Cannizzaro e Roberto Occhiuto - nella conduzione delle indagini da parte della procura di Venezia».

Quindi, nessuna richiesta di agire nei confronti del trattamento penitenziario per le detenute, le quali non hanno nessuna colpa rispetto all’evento tragico che ha colpito la giovane. «Due giorni dopo l’interpellanza – spiega l’avvocato Catanzariti – risponde il sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi, dicendo che l’ispezione non sarà in procura per verificare la presunta incompatibilità, ma nel carcere». In effetti si legge nella risposta del sottosegretario che il Dap aveva disposto una ispezione e «l’equipe ispettiva delegata - ha enunciato Ferraresi - ha ricevuto l’incarico di espletare tutti gli accertamenti necessari, diretti, in particolare alla ricostruzione delle relazioni intercorrenti tra l’agente Trovato e il contesto organizzativo e gestionale del penitenziario, nonché di verificare i presupposti e gli esiti dei procedimenti disciplinari cui risultava sottoposta la Trovato ed ogni altra circostanza utile riconducibile all’agente penitenziario in relazione all’ambiente di lavoro». Quindi, anche dalla risposta, emerge comunque che la visita non sarebbe mirata a colpire le detenute in generale, ma nel ricercare un fatto circoscritto all’ambiente di lavoro.

Ma poi è spuntata questa presunta bozza che il Gazzettino ha reso pubblica. Sarebbero quattro i maxi- punti che attraverso “consigli o prescrizioni” per la futura gestione del penitenziario della Giudecca, riassumono l’esito della visita della Commissione ministeriale. Tra i punti salienti, per i commissari, ci sarebbe la cancellazione della “sorveglianza dinamica”, cioè del fatto che le agenti possano camminare in mezzo alle detenute negli spazi di socialità. Il provvedimento prescritto dalla Commissione, si sarebbe spinto a regolamentare anche le differenze tra quante lavorano all’esterno e nelle vicinanze delle mura di cinta del carcere, da chi non esce mai o presta servizio in cucina: chi è impiegata nella lavanderia e nell’orto del carcere – che potrebbe venire in contatto con il mondo esterno – dovrà dormire in un reparto creato ad hoc. Trattamento identico a chi lavora all’esterno del carcere e già dorme nella zona cosiddetta dei semiliberi, secondo quanto previsto dal regolamento carcerario per il lavoro esterno. L’obiettivo? Azzerare il più possibile i contatti tra l’esterno e l’interno della Giudecca. Anche per questo sarebbe stata tolta alle detenute la possibilità di rivolgersi alla cooperativa Granello di Senape per gli acquisti all’esterno. Semaforo rosso, poi, anche per la tintura dei capelli.

«Tutto ciò, oltre che paradossale, ci appare inaccettabile!», scrivono nel comunicato gli avvocati Gianpaolo Catanzariti e Riccardo Polidoro dell’osservatorio carceri delle camere penali. «L’istituto femminile di Venezia – sottolineano i penalisti - si è sempre distinto come esempio paradigmatico sulla via della attuazione di quel finalismo rieducativo della pena evidenziato dall’art. 27 della Carta costituzionale e per questo – concludono - ci sembra del tutto illogico che si possa pensare di sostituire i ponti creati, negli anni, tra la civiltà e la detenzione con dei muri insormontabili come quelli proposti dalla commissione d'inchiesta».