«Nel corso della storia molti avvenimenti hanno preso avvio da circostanze imprevedibili: la Prima guerra mondiale, ad esempio, è scoppiata per un colpo di pistola. Nessuno poteva prevedere che uno studente serbo sparasse e uccidesse a Sarajevo l'arciduca erede al trono d'Austria Francesco Ferdinando, così come, in tempi non sospetti, forse nessuno in Europa poteva prevedere che in Italia si affermasse un governo così apertamente anti- europeista».

E l'uscita dell'Italia dall'Unione europea è davvero oggi una possibilità così remota? Nel suo nuovo libro, 02.02.2020. La notte che uscimmo dall'euro ( Feltrinelli), il giornalista e scrittore Sergio Rizzo si cimenta a tratteggiarne percorsi e conseguenze. Poco rassicuranti.

La Commissione europea ha bocciato il nostro progetto di bilancio 2019 e si corre il rischio di una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia. La realtà si sta avvicinando a ciò che ha immaginato nel suo ultimo libro, l'uscita dall'euro? Il pericolo principale è che la situazione sfugga di mano e possano verificarsi condizioni tali che, indipendentemente dalla volontà generale, il risultato sia quello. Se l'attuale maggioranza s'impuntasse sulle proposte di manovra avanzate – non per forza quest'anno ma anche durante quelli successivi, magari dopo una nuova, cospicua legittimazione elettorale alle Europee –, se decidesse di forzare ulteriormente la mano e di aumentare il deficit in un modo inaccettabile per le regole dell'Unione europea, con relativo declassamento del debito italiano da parte delle agenzie di rating, anche l'Europa stessa, a quel punto, non potrebbe fare più niente.

Nel governo comincia a far breccia un’apertura verso l'Ue. Il ministro dell'Interno Salvini ha affermato che non bisogna impiccarsi agli “zero virgola'”. Crede che ciò avrà un seguito? Non credo che l'Ue potrà ritenersi soddisfatta di una sforbiciatina del deficit mentre al governo si ipotizza di raggranellare denari incassando 18 miliardi dalle privatizzazioni, cosa assolutamente impossibile da realizzare. Ha ragione Salvini: non è una questione di decimali quanto di impostazione generale. Oggettivamente si stanno imponendo le condizioni per un confronto molto complicato. Non sarà semplice, e soprattutto non è detto che ciò sia sufficiente a evitare la temuta procedura d'infrazione.

Nel suo romanzo, la fine del quantitative easing e il termine del mandato del Presidente della Bce Mario Draghi rivestono un'importanza nodale. Rappresenteranno un punto di svolta? Direi di sì. Il 2019 sarà un anno importante: a marzo ci sarà la Brexit, a maggio le elezioni europee e a fine ottobre le nomine dei presidenti della Commissione europea e della Bce. Molto dipenderà dai risultati delle elezioni europee e dall'identità dei futuri presidenti: se questi ultimi dovessero rivelarsi personalità molto rigide nell'applicazione delle regole e, al tempo stesso, mancasse un Parlamento a maggioranza sovranista, ciò rappresenterebbe un vero e proprio corto circuito.

Nel libro emerge anche il tema della libertà di stampa, di cui in questi giorni si sta parlando molto. Ritiene più preoccupanti gli epiteti rivolti ai giornalisti o la scarsa fiducia manifestata da una consistente parte di lettori verso la stampa? Credo che mai come in questo momento la stampa goda di una cattiva reputazione, assolutamente immeritata. Desta preoccupazione il clima che si sta creando in questo Paese: gli stessi principi fondamentali della Costituzione – come l'articolo 21 – vengono messi in discussione. Gli attacchi alla stampa sono pericolosi e sconsiderati e temo che sia molto difficile invertire questa tendenza, in quanto i social si sono talmente affermati in tutto il mondo che ormai sono i principali mezzi di diffusione della – presunta – verità. Anche le falsità più evidenti ivi diffuse si tramutano ben presto in verità.

Sono trascorsi più di dieci anni dalla pubblicazione de “La casta”, che lei ha scritto a quattro mani con Gian Antonio Stella. Trova che la politica sia cambiata da allora? Per certi aspetti è anche peggiorata. Quel libro voleva lanciare un allarme su una situazione ampiamente degradata che stava giungendo a un punto di non ritorno. Il messaggio, tuttavia, non è stato colto dalla politica tradizionale, in quanto non c'era alcun interesse a farlo, e la situazione attuale è appunto conseguenza dell'incapacità della politica di far fronte ai propri errori. Sono molto deluso. Oggi abbiamo al governo una forza come la Lega che costituisce il partito più longevo del panorama politico e che proprio nel nostro libro veniva indicato come connivente con quel mondo, come testimonia anche lo scandalo dei rimborsi elettorali: consuetudini proprie della Casta. Nonostante la parvenza di rinnovamento rappresentata da Matteo Salvini si tratta sempre dello stesso partito e dello stesso gruppo dirigente, e questa forza governa con coloro che dovrebbero essere suoi acerrimi avversari. Dopo un'epoca politica che andava chiusa se ne è aperta un'altra dove prevale l'incompetenza, la superficialità e la presunzione.

“La casta” era un saggio d'inchiesta. Il suo nuovo libro è un romanzo distopico. Trova che sia questa la formula più adatta per raccontare la contemporaneità? Si tratta di un espediente letterario per rendere partecipi i lettori, in modo più diretto rispetto a un freddo saggio economico, di cosa potrebbe capitare nel momento in cui si avverasse il famoso break up. In realtà, a livello personale, mi è servito anche per esorcizzare tale eventualità.