Esattamente sette anni fa, in agosto, gli italiani iniziarono a conoscere e ad adoperare comunemente un termine tecnico che sino a quel momento era rimasto confinato nel perimetro ristretto dei tecnici: “Spread”. Trattasi del differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato tedeschi e quelli dei vari Paesi dell’Unione. Ma nell’opinione diffusa quei numeretti equivalgono da quell’estate in poi a un termometro: indicano quanto alta sia la febbre e quanto metta a rischio la vita stessa del paziente, nel caso i conti pubblici italiani.

In quell’agosto 2011 la crisi mordeva già da quattro anni e si era rivelata gravissima, la peggiore dalla Grande Depressione in poi già da tre: da quando cioè il fallimento della Lehman Brothers aveva trascinato prima gli Usa e poi l’Europa in quella che passerà alla storia come Grande Recessione. Ma in quell’estate che pareva dover essere segnata solo dalle all’epoca abituali polemiche sulle abitudini sessuali del dottor Berlusconi e sull’età delle sue amanti, la crisi già arretrava nel Paese- culla, gli Usa. L’incubo lì aveva un nome preciso: double dip, la ricaduta. Non successe su quella sponda dell’Atlantico. Capitò invece in questa. La crisi dei debiti sovrani del 2011 fu a tutti gli effetti il secondo dip, la ricaduta, più grave e più duratura della prima botta.

In seguito alla crisi del 2008 i debiti degli Stati si erano impennati e la fiducia degli investitori nella possibilità di rifonderli da parte degli Stati dall’economia più fragile era andata a picco. Le risposte alla crisi della Bce, per molti versi opposte a quelle della Fed americane, centrate cioè sul rigore invece che su massicci investimenti, avevano avuto in effetti risultati opposti: in America la crisi arretrava, in Europa mordeva più a fondo e incideva fino alla carne viva sui debiti pubblici.

In Italia la situazione era meno disastrosa di quanto il comportamento “dei mercati” farebbe credere. Il disavanzo era pari al 4,6% del Pil, appena un po’ peggio che in Germania, meglio della Francia e del Regno Unito. L’avanzo primario metteva al riparo dal pericolo di dover contrarre nuovi debiti per pagare gli interessi di quelli già esistenti, all’epoca il 130% del Pil. D’altra parte le tensioni nel governo e la credibilità in picchiata di Berlusconi rappresentavano fianchi esposti. Le resistenze del governo alle richieste rigoriste europee, nonostante fossero finite con una resa segnata dalle misure economiche adottate in luglio, aumentava il pericolo.

La manovra economica fu bocciata di fatto dalle agenzie di rating già il primo luglio. Il differenziale, che in gennaio era di 173 punti e che da quel momento aveva preso ad aumentare, passò al galoppo. Il 7 luglio toccava i 226 punti. All’inizio di agosto e nonostante le misure accolte da Berlusconi superava la soglia critica dei 300 punti: quel che rischia di accadere ora. Da quella soglia in poi, effettivamente, la speculazione trova effettivamente praterie di fronte a sé. Nessuna misura fu però adottata dalla Bce guidata dal presidente uscente Trichet per impedire la messa a sacco e la stessa autonomia dei mercati è in realtà sospetta. Di fatto in quell’estate lo Spread giocò lo stesso ruolo delle cannoniere ottocentesche, adoperate per prendere di mira un governo che non appariva agli occhi dell’Europa e dei mercati sufficientemente affidabile quanto a rigorismo e credibilità internazionale.

Il 5 agosto Trichet e il suo successore designato, Mario Draghi, inviarono ai governanti italiani una lettera- memorandum segreta nella quale imponevano misure severe, di fatto commissariando la politica italiana. Lo stesso giorno, in conferenza stampa, Berlusconi e il ministro dell’Economia Tremonti annunciarono nuove misure rigoriste. Dell’esistenza della lettera si ebbe notizia, sia pur non ufficiale, subito. Il testo, secretato, fu pubblicato dal Corriere della Sera solo il 29 settembre.

L’assedio proseguì nonostante il nuovo giro di vite rigorista. In settembre Standard & Poor’s declassò il debito italiano, avviando un nuovo arrembaggio con ulteriore accelerazione dello spread. Di sfuggita, è quel che rischia di ripetersi nel settembre 2008. La possibilità di un downgrade da parte delle agenzie di rating è elevata. Nella situazione data sarebbe un colpo forse fatale.

In ottobre le pressioni su Berlusconi diventarono invincibili, accompagnate da uno spread ormai a 500 punti. Ufficialmente la richiesta era immediato varo di tutte le misure richieste dalla lettera memorandum. Di fatto l’obiettivo erano le dimissioni del governo, sostituito da una figura di assoluta fiducia per la Ue. Il nuovo premier era già stato scelto, Mario Monti. Accettò di sbrigare la faccenda, ha dichiarato pochi mesi fa, perché la sola alternativa era il commissariamento. Le risatine di Angela Merkel e Francois Sarkozy quando il 23 ottobre, in conferenza stampa, fu loro chiesto se ritenevano Berlusconi adeguato a varare le misure draconiane necessarie, fu la campana a morto per il Cavaliere. Le cose cambiano. Oggi proprio Berlusconi è il più convinto assertore della necessità di evitare strappi con la Ue e oggi, di nuovo, la minaccia dello spread rischia di condizionare in ogni suo passaggio la politica di un governo italiano, e forse la sua stessa sopravvivenza.