Dai tesi rapporti con l’Iran al summit di Helsinki con Putin, dal ruolo dell’Unione europea alla battaglia dei dazi con Pechino. Vicedirettore del Tg1, e apprezzato saggista che vanta tra l’altro nel suo carnet due imponenti e apprezzate biografie dedicate ai due più potenti uomini del Pianeta ( Trump. Vita di un presidente contro tutti e Putin. Vita di uno zar), Gennaro Sangiuliano fa insieme a noi il punto sulle strategie di Washington e Mosca, alla luce del discusso summit finlandese di qualche giorno fa.

«Mai, mai minacciare gli Stati Uniti. State attenti!». A che cosa mira il nuovo affondo di Trump contro Teheran?

È opportuno ricordare che uno dei primi viaggi ufficiali di Trump è stato quello in Arabia Saudita, dove il presidente americano ha avuto un’accoglienza molto calorosa da parte del re Salman. In Medioriente è in atto un forte scontro di tipo religioso tra sunniti e sciti, di cui Riad e Teheran sono le rispettive capofila. In continuità con l’epoca di Bush, Trump intende rimarcare la scelta di campo degli Stati Uniti di stare al fianco dell’Arabia Saudita. Probabilmente il vero obiettivo di Trump è isolare Teheran, che si era sentita rafforzata dopo l’era Obama, per poi andare a trattare da una posizione di maggiore forza negoziale. Ma nell’accesa disputa ingaggiata da Washington con Teheran, pesa anche un secondo elemento chiave: quella difesa dell’autonomia e dell’indipendenza dello Stato di Israele, da sempre faro della politica americana, che sotto l’egida di Trump è stata ulteriormente accentuata con la scelta di riconoscere Gerusalemme come capitale.

Trump attacca l’Iran pochi giorni dopo il summit con Putin. C’è dell’incoerenza nell’azione politica del presidente, o dietro la mossa c’è una sinergia tra Mosca e Washington?

Trump viene costantemente irriso dai media, e soprattutto dal cosiddetto mainstream. Se solo andassimo a rileggere i giornali di sei o sette mesi fa, tuttavia, lo scoppio di un conflitto nucleare tra Stati Uniti e Corea del Nord era dato ormai per imminente. Salvo scoprire poi nei mesi successivi che le cose sono andate diversamente da come erano state rappresentate. Dopo l’incontro tra Kim e Trump, è stato avviato un processo per la denuclearizzazione di Pyongyang. Non sappiamo se tutto ciò accadrà davvero. Ma de facto, la situazione illustrata dai media si è rivelata assai distante da quella che poi si è verificata nella realtà.

Le minacce di Trump all’Europa, all’Iran e alla Corea del Nord, vanno lette dunque come puri espedienti negoziali?

Proprio così. Trump è un commerciante. E come tutti i commercianti spara sempre il prezzo più alto, consapevole che poi dovrà abbassarlo nel corso della trattativa. Del resto, la strategia che ha adottato con la Corea del Nord è la stessa che ha utilizzato in modo vincente nella partita con la Cina a proposito dei dazi. Una settimana fa, ma i giornali italiani si sono guardati bene dal sottolinearlo, Pechino ha annunciato la sua disponibilità a discutere di maggiori importazio-ni di prodotti americani, e anche di proprietà intellettuale, ossia del tema della contraffazione dei marchi. Ciò dimostra che anche la cosiddetta guerra dei dazi non è in realtà una guerra dei dazi, ma solo un modo per costringere la Cina a rivedere alcune politiche di chiusura commerciale a vantaggio degli Stati Uniti.

Stesso trucco stesso inganno, anche quando il presidente americano minaccia gli alleati di uscire dalla Nato?

Trump non ha alcuna intenzione di abbandonare l’Alleanza atlantica. Il suo è un tentativo di ottenere dagli europei un po’ di risorse in più da allocare nel bilancio Nato.

Critico verso l’inchiesta sul Russiagate a Helsinki, alla presenza di Putin, Donald ha poi ritrattato in patria. The Donald sta con gli Usa o con la Russia?

Tra Putin e Trump c’è un’oggettiva “attrazione”. Del resto si tratta di una simpatia che il presidente americano non ha mai nascosto in campagna elettorale. Al netto dei buoni rapporti personali, pesa però il gioco di tensioni alimentato ad arte dai rispettivi establishment, nell’intento di far litigare i due leader. Quando si parla di Russiagate, infatti si perde spesso di vista il vero nocciolo della questione. Si tratta in buona sostanza di incursioni informatiche che alcuni hacker russi avrebbero fatto ai danni dei server del Partito democratico. Incursioni che hanno però portato alla luce alcuni documenti imbarazzanti per Hillary Clinton.

C’è stata complicità tra Trump e Putin? Che idea si è fatto?

Il modo in cui sono stati ottenuti i documenti è indubbiamente fraudolento ed illecito. Ma è altrettanto indubbio che i materiali rinvenuti siano autentici, e che i fatti narrati all’interno di essi siano veri e confermati. Il Russiagate ha oggettivamente avvantaggiato Trump in campagna elettorale, ma non c’è nessuna prova che il tycoon fosse a conoscenza dell’operazione. Tanto è vero che nel mio libro cito uno stretto collaboratore di Hillary Clinton, un esperto di intelligence in predicato di diventare il capo dei servizi della Cia in caso di vittoria della candidata democratica, il quale dice testualmente che «sul Russiagate manca la pistola fumante» .

Tra gli argomenti sul tavolo a Helsinki anche il disarmo nucleare. Possibile pensare a una svolta dopo il summit?

Personalmente auspico un mondo senza armi nucleari. Ma oggi il disarmo dev’essere multipolare. Non credo che la minaccia sia nelle testate in possesso di Washington e Mosca, ma piuttosto in quelle detenute da Paesi come il Pakistan, l’India, il Sudafrica, la Corea del Nord, Israele. Il punto, insomma, è che questo tipo di armi non debbano finire nelle mani di Stati che non abbiano un pieno bilanciamento dei poteri e una piena democrazia, oltre che una piena consapevolezza del valore della vita umana.

Alla fine del summit con Trump, Putin ha detto che la Guerra fredda è finita. Che cosa vuol dire esattamente?

La Guerra fredda è finita da tempo. Quella nata all’indomani della Seconda guerra mondiale, era una contrapposizione basata su due modelli diversi, quasi filosofici, del mondo e della vita. Da una parte il modello democratico liberale e capitalista, dall’altro quello del socialismo reale. Era una contrapposizione ad alto contenuto ideologico- filosofico. Oggi questa contrapposizione non esiste più. La Russia non si ispira più a Marx e a Lenin, così come l’America non si ispira più a Tocqueville o Adam Smith.

L’Unione europea paventa che il vero fine di Trump e Putin sia quello di sovvertire l’ordine mondiale. È così?

Nei lunghi anni della Guerra fredda l’Europa ha vissuto di rendita, in quanto avamposto del mondo libero. Adesso però il Vecchio continente è chiamato a camminare sulle sue gambe. E questo comporta delle oggettive difficoltà.

Ha ragione chi vede nell’asse tra Mosca e Washington l’idea di mettere nell’angolo l’Unione e drenarne le risorse?

Non lo credo. In primo luogo perché la Russia è parte dell’Europa che va dall’Atlantico agli Urali. E in secondo luogo perché gli Stati Uniti sono figli dell’Europa. Lo stesso Trump è nipote di un immigrato tedesco.

Ma se è vero che la Russia è Europa, l’Unione sbaglia a isolare Putin e a considerarlo alla stregua di un nemico?

Vorrei ricordare l’osservazione assai interessante che il premier Giuseppe Conte ha fatto nel corso del vertice della Nato. Il presidente del Consiglio ha parlato in quell’occasione di minacce che provengono dal fronte Sud della Nato. È un’osservazione che interpreto per mio conto come il fatto che le minacce per l’Alleanza atlantica non vengono più da Est, ma da quel fronte meridionale del mondo caratterizzato dall’estremismo radicale, che vede nella Russia un nostro alleato. Per di più, tra la Russia e l’Europa c’è una parentela culturale secolare. Chi ha letto Dostoevskij, Tolstòj e Cechov, vede come la grande letteratura russa è intimamente legata alla nostra cultura.

Lei ha dedicato il suo ultimo saggio a Trump. Qual è il bilancio che può essere steso finora sulla sua presidenza?

Il bilancio lo faranno gli elettori a novembre, con le elezioni di Midterm.