La mossa a sorpresa di Di Maio, un’apertura su due fronti, alla Lega e al Pd, accompagnata però da un doppio veto, contro tutta Forza Italia da un lato e contro Renzi dall’altro, rende più complicato il compito di Sergio Mattarella. Allo stesso tempo potrebbe però accelerare i tempi della crisi.

Sul Colle, dall’elezione degli uffici di presidenza delle Camere in poi, è stato chiaro a tutti che la prima incognita da chiarire riguarda le chances di una maggioranza composta da M5S e centrodestra, oppure da M5s e dalla sola Lega. Il capo dello Stato non riteneva probabilmente possibile risolvere quell’enigma nel primo giro di consultazioni, non a caso rapidissimo. Quello iniziato ieri è infatti solo l’avvio di una partita prevedibilmente lunga, e Mattarella, in questa fase, non intende andare oltre il ruolo ' notarile', esattamente opposto all’interventismo di Napolitano e prima ancora di Scalfaro. Questione di carattere ma anche di contingenza. Il presidente sa infatti che la possibilità di intervenire direttamente, nell’ultima fase della crisi, richiede che ci sia stato sino a quel momento un atteggiamento opposto.

In questi due giorni dunque Mattarella non intende andare oltre discorsi sostanzialmente vaghi e generali, mentre nel secondo giro, che inizierà probabilmente la settimana prossima, ha in animo di chiedere ai due candidati, Salvini e Di Maio, dettagli sulle loro effettive possibilità di mettere insieme i voti mancanti a ciascuno dei due per raggiungere una maggioranza parlamentare. Il Quirinale esclude infatti l’ipotesi di mandare allo sbaraglio un candidato, incaricandolo di cercarsi i voti in parlamento alla cieca. Va detto però che quella strada, sulla quale puntava all’inizio M5S, è ormai esclusa da tutti, sia da Salvini che dallo stesso Di maio E’ in questa fase, quella del ' secondo giro', che si sarebbe dovuto chiarire se la via di una maggioranza M5S- destra, o M5S- Lega, è davvero praticabile. L’uscita del leader a cinque stelle anticipa da questo punto di vista i tempi. La richiesta non di aggirare diplomaticamente ma di sacrificare pubblicamente Berlusconi, e con lui tutta Fi, non è accettabile per Salvini, nonostante le paure della stessa Forza Italia. Il prezzo sarebbe per il leader del Carroccio troppo alta e la contropartita troppo bassa: la partecipazio- ne a un governo guidato da M5S, dunque in funzione necessariamente subordinata e sapendo che gli eventuali risultati positivi andrebbero a tutto beneficio del partito che esprime il presidente del consiglio.

Una volta accertato che una maggioranza M5S- Lega non è possibile, Sergio Mattarella dovrà fare luce sulla seconda incognita, l’eventualità che il Pd accetti di ' scongelarsi' entrando in partita e appoggiando un governo Di Maio o almeno permettendone la nascita. E’ un’opzione che non si può escludere e che nel Pd tenta moltissimi. Perché si realizzasse, però, si dovrebbe arrivare una rottura plateale con Renzi e l’area fortissima che l’ex segretario ancora controlla. Di Maio, chiedendo anche in questo caso pubblicamente la messa al bando dell’ex segretario del Pd, ha fatto quanto in suo potere per rendere ancora più arduo un sentiero che era già impervio e strettissimo.

Se e quando entrambe le possibili maggioranza parlamentari dovessero rivelarsi impossibili, Mattarella dovrà rinunciare al ruolo notarile e giocare la sua carta. Sul tavolo ci saranno a quel punto solo due possibilità. La prima, quella che il Colle più teme, è il formarsi di un asse tra M5S e Lega non per governare ma solo per modificare in senso maggioritario la legge elettorale e poi correre alle urne, per una sorta di ballottaggio, a ottobre, dunque prima di essersi sporcarsi le mani con la legge di stabilità.

La seconda è un governo del presidente: cioè la decisione del capo dello Stato di mandare un premier incaricato scelto da lui di fronte alle Camere. Il mandato sarebbe in questo caso per forza limitato. Si tratterebbe di superare l’autunno e la legge di bilancio, evitando l’aumento dell’Iva e forse anche l’esercizio provvisorio.

Il dilemma del Quirinale è che stavolta non è affatto certo che una simile formula verrebbe accettata da tutti. E se anche solo la Lega rifiutasse il semaforo verde al governo di Mattarella difficilmente M5S lo sosterrebbe da solo con il Pd. A meno di improbabili divorzi nel centrodestra o rese dei conti finali nel Pd, Mattarella dovrà alla fine scegliere. Non sarà in nessun caso una decisione facile né priva di rischi.