Bogdan Andrea Tibusche, l'ex fidanzato di Giulia Sarti accusato dalla deputata M5s coinvolta nella vicenda delle restituzioni "fantasma", è stato interrogato alla Procura della Repubblica a Rimini fino alle 4.30 di notte. Indagato per appropriazione indebita aggravata dall'ospitalità e dalla coabitazione con la deputata, Bogdan Andrea Tibusche ha consegnato agli inquirenti una serie di documentazioni, tra cui messaggi, chat e corrispondenza al vaglio del tecnico informatico incaricato dalla Procura.

Del resto ieri l'uomo aveva "avvisato": «Vedremo come va a finire perchè la verità è tutta un’altra. Usciranno diverse conversazioni e forse non vi conviene esporvi ora». E così il “contabile incriminato” è uscito allo scoperto. In una conversazione su Facebook, sotto lo pseudonimo Andrea De Girolamo, Tibusche si era difeso così: «Vedremo come va a finire perchè la verità è tutta un’altra. Usciranno diverse conversazioni e forse non vi conviene esporvi ora». E ad un utente che gli aveva fatto notare che «l’unico parecchio esposto sei tu, con i giornalisti ansiosi di farti un po’ di domande e una querela presentata a tuo carico ( mica roba da poco)», lui aveva risposto: «Vedrai che fine fa la querela. Vedrai i messaggi e le email», quasi minaccia. «Io in pubblico non rilascio nulla ma dritto in procura. Io ho un brutto vizio: registrare tutto e pure le telefonate».

Difficile dire se Tibusche custodisca realmenti segreti imbarazzanti o millanti sfaceli solo per uscire dall’angolo. Giulia Sarti dice di non essere assolutamente preoccupata dalle parole del suo ex ma intanto deve ancora chiarire la sua posizione col Movimento 5 Stelle. Nel pomeriggio si era diffusa la notizia di un suo possibile passo di lato per non danneggiare l’immagine del partito, ma l’autosospensione non ha trovato conferme.

In attesa di decidere le sorti di ogni singolo “furbetto”, Di Maio prova a tenere la barra dritta almeno su un punto: via i massoni subito dalle nostre liste. E per non correre il rischio di passare inosservato mira ancora più in alto. Lello Vitiello, Piero Landi e Bruno Azzerboni - già espulsi dal Movimento per aver fatto parte di logge senza aver informato i vertici - saranno denunciati per danno d’immagine. Ma non solo: «Chiederemo a queste tre persone di andare in Corte d’Appello per rinunciare alla proclamazione». Il capo politico si impegna di riservare un trattamento analogo anche per i parlamentari uscenti accusati di imbrogli sui rimborsi: sarà sporta denuncia anche «nel caso in cui questi non dovessero rinunciare alla proclamazione» . In ogni caso i vertici pentastellati ci tengono a sottolineare che i “furbetti” della rendicontazione restano solo otto, a differenza di quanto anticipato dalle Iene che parlano di quattordici parlamentari dal bonifico magico. Nelle prossime ore dovrebbe pubblicato online l’elenco completo di tutti i 123 portavoce pentastellati di Camera e Senato: per ciascun nome verrà inserita la somma dichiarata per le restituzioni e il corrispettivo risultante dalle tabelle ministeriali. Dagli elenchi in mano allo staff risulterebbero alcune incongruenze ma per somme irrisorie e riconducibili a piccoli errori o a semplici arrotondamenti nelle somme da devolvere. E per evitare altri scandali, in casa 5 Stelle si comincia a discutere sul futuro delle rendicontazioni. In tanti preferirebbero mandare in soffitta gli scontrini e stabilire una quota fissa forfettaria da restituire ogni mese, liberando i parlamentari dall’incubo delle ricevute smarrite. Per una svolta di questo tipo, tuttavia, bisognerebbe aggirare lo scoglio Beppe Grillo, convinto della bontà del metodo finora adottato e mai messo in discussione dagli statuti e regolamenti via via modificati in questi anni.

Intanto, dopo giorni di silenzio, tornano a parlare due degli otto eletti pizzicati a barare sui bonifici: Carlo Martelli e Maurizio Buccarella. Se Martelli corregge al ribasso i dettagli della sua “bravata”, Buccarella ammette: «Ho sbagliato, so di avere fatto una cazzata. Ma so anche di non essere una persona spregevole. E al Movimento ho dato tanto», dice. «Tutto questo mi è successo perchè stando in Parlamento mi sono reso conto che l’impegno da eletto mi assorbiva quasi sette giorni su sette. Non rimaneva tempo né possibilità di poter seguire la mia attività professionale» da avvocato. Dunque, per paura di perdere il lavoro in futuro, il parlamentare avrebbe commesso un piccolo peccato. Comprensibile, sono i rischi che si corrono a delegittimare la politica di professione. È la società civile al potere.