Signor Presidente della Repubblica, desidero innanzitutto ringraziarla per l’attenzione che con la sua presenza ha inteso manifestare nei confronti dell’avvocatura italiana. Le siamo davvero grati e viviamo questo alto onore come uno stimolo ad un impegno sempre maggiore per il corretto esercizio del nostro ruolo di interpreti del diritto di difesa.

Saluto tutte le autorità presenti e le diverse rappresentanze dell’avvocatura. Desidero poi ringraziare tutti i componenti del Consiglio Nazionale Forense per il loro costante impegno a sostegno delle diverse attività del Consiglio.

Rinvio a questo proposito, anche per quel che riguarda l’attività giurisdizionale, ai dati contenuti nel resoconto sintetico messo a vostra disposizione.

Come da più parti ricordato, quest’anno sono diverse le ricorrenze importanti, gli 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali, che affermarono il diritto diseguale.

I 70 anni della Costituzione, che segue e reagisce al sistema totalitario, ponendo principi e ideali a baluardo di una democrazia compiuta.

Per poter costruire e far crescere una democrazia gli ideali sono il necessario motore, e sono quelli tracciati dalla nostra Costituzione, solidarietà, uguaglianza, dignità, libertà.

Ogni corpo sociale è chiamato ad abbracciare questi ideali per uscire dalle paludi dell’egoismo, e incamminarsi sul terreno solido dei diritti e dei doveri.

Vi sono, però, soggetti che più di altri sono tenuti all’impegno per il ruolo che loro attribuisce la Costituzione, per prime le diverse articolazioni dello Stato, ma vi è chi è tenuto a operare, all’interno della legge, in maniera necessariamente libera e indipendente anche dai poteri dello Stato. E’ il caso dell’avvocatura, chiamata a una responsabilità tecnica e contestualmente sociale, incaricata di custodire le garanzie nella giurisdizione, e di promuovere al di fuori di essa una cittadinanza attiva, che veda al centro il diritto come disciplinatore di ogni conflitto e come garanzia di uguaglianza.

Per tale motivo, tornando alle ricorrenze, come avvocati, come giuristi, abbiamo il dovere di analizzare e contestualizzare prima di tutto le fasi di crisi democratica.

Vediamo, allora, come i tempi delle leggi razziali e le mostruosità del nazismo, si concretizzarono attraverso la negazione estrema di ogni forma di solidarietà e di uguaglianza, per cui dobbiamo chiederci, se quelle violazioni non esistano più, se lo Stato di diritto, perseguito dai nostri padri costituenti, si sia pienamente realizzato.

Una corretta e realistica analisi, ci mostra come la nostra Società stia in realtà vivendo in un tempo che potremmo definire tempo congelato, ovvero una fase di apatica sospensione, fatta di ansie e paure a cui non si è grado di reagire positivamente, perché non è facile trovare aiuto in ideali nuovi o consolidati, in punti di riferimento tranquillizzanti.

E’ un fenomeno che va letto attraverso il rapporto tra reazione allo Stato totalitario, immediata e forte nel secondo dopo guerra, quando la Carta fondamentale traccia con chiarezza la strada della democrazia piena, e quando si apprezza, potremmo dire sulla propria pelle, il significato delle tutele poste a sostegno di tale percorso, e l’affievolirsi di tale reazione con il trascorrere del tempo.

Laddove il significato di solidarietà, uguaglianza, tutela della persona e della sua dignità, vanno sbiadendo, sul presupposto che non accadrà più, non ci accadrà più di vivere in un regime.

E certo vi è chi si è insinuato in tale dilatazione della storia, suggerendo diverse priorità valoriali, e allora scopriamo come il profitto e l’economia globale siano un bene assoluto a cui molto può immolarsi, come il mercato e la finanza senza regole siano strumenti di benessere idonei, più di altri, a garantire democrazia.

Certo si tratta di valori che richiedono di sacrificare, almeno in parte, l’idea della centralità della persona e della sua identità.

In diritto di cosa stiamo parlando, quando - in omaggio ad una idea globale di Stato “economicista e mercatista” - riandiamo a un episodio di circa un mese fa: Baltimora, negli Stati Uniti, una paziente con problemi psichiatrici viene dimessa in una notte gelida e lasciata vagare per le vie della città indossando soltanto una vestaglia medica e un paio di calze, perché priva della assicurazione ospedaliera, e sempre in diritto, qual’è il tema, quando constatiamo come in nessuna parte del mondo il diritto al cibo o all’acqua venga riconosciuto come inalienabile?

In diritto, in realtà, stiamo ancora parlando di diseguaglianza e di violazione del dovere di solidarietà.

Ecco dunque come ruolo tecnico e ruolo sociale dell’avvocato si incontrano per promuovere e affermare sempre più quei diritti “naturali”, a fronte dell’avanzare di altre priorità, misurate esclusivamente in PIL. E’ di tutta evidenza che porre come regolatore dello Stato, non il diritto, ma il mercato e la concorrenza spietata, porta ad escludere ogni forma di Comunità solidale e ad affermare che tutto ciò che è economicamente improduttivo, va abbandonato al proprio destino, come quella paziente di Baltimora.

L’avvocatura italiana è consapevole di quanto sopra, è conscia del fatto che stiamo vivendo una fase in cui il diritto diseguale tende a riespandersi, ed ha perciò dato vita a diverse concrete e non episodiche iniziative, a salvaguardia dei diritti umani, a salvaguardia di un confronto di idee fondato sulla dialettica e sul dubbio, non su una violenta assertività, a salvaguardia di una Società fondata sul garantismo, non sul sospetto, a salvaguardia insomma dello Stato di diritto.

Questo sul presupposto che sia il diritto il necessario strumento di mediazione dei conflitti, di qualsiasi conflitto, sia sociale, che culturale ed anche di guerre tra popoli, delle loro cause e dei loro effetti.

Ho richiamato più sopra il tema del diritto all’acqua, sappiamo come l’acqua, per la sua scarsità, sia al centro di conflitti interni ed esterni in molti Stati, così come la mancanza di cibo è causa di tragici esodi.

Anche quando trattiamo di acqua e di cibo, dobbiamo dunque come giuristi porci di fronte alla necessità di affermare la sussistenza di un diritto inalienabile e non commerciabile.

E parlando di guerre, e del diritto come strumento di mediazione, dobbiamo anche chiederci se non sia in atto una guerra tra il bisogno, spesso indotto, di consumare, e l’Ambiente che ci circonda.

Viviamo in una concezione antropocentrica del mondo, forse dobbiamo pensare ad una visione più ecocentrica, laddove la Terra divenga soggetto di diritti, anche questo è tema per giuristi e per chi con gli strumenti del diritto vuole porre fine ai conflitti e alle diseguaglianze nel mondo.

Nella ricerca del vivere pacifico tutto si lega, diritti inalienabili dell’uomo, il diritto alla storia e alle culture dei popoli, i diritti della Natura, la necessaria conoscenza dei propri doveri.

Tutto questo è mondo fondato sul, e mediato dal, diritto.

E poi c’è il ruolo dell’avvocato nella giurisdizione, il suo ruolo tecnico, l’avvocato deve essere libero e indipendente perché la difesa sia effettiva e non solo enunciata.

Questo ruolo segue la storia dei popoli e delle democrazie, che vanno sviluppandosi nel tempo attraverso il modificarsi di modelli e di culture. In alcuni casi gli sviluppi sono virtuosi, in altri bisogna saper cogliere le insidie insite nel cambiamento, in entrambe le ipotesi il diritto deve sapersi adeguare, aprendo la strada ai miglioramenti, ponendo limiti alle criticità.

Quanto all’avvocato, è indiscutibile che, assestatosi il sistema repubblicano, allontanati in gran misura, come detto, gli spettri della dittatura, si è finito con il perdere alcune sensibilità.

Se in epoche di totalitarismo è facile rendersi conto del valore straordinario di un processo con regole uguali per tutti, e non a caso la nostra Costituzione definisce la difesa come diritto inviolabile, assestatosi il sistema democratico, tale percezione rischia di sfumare, di vedere annebbiati i contorni, e di prestarsi a interpretazioni che finiscono con l’essere in contrasto con lo Stato di diritto.

A tal proposito dobbiamo avere chiaro che non possiamo rischiare di perdere la sensibilità democratica, neppure in parte, non possiamo “distrarci” dai principi di uguaglianza nell’istruzione, nel lavoro, nella salute, nella difesa davanti ad un giudice terzo.

La sensibilità al principio della inviolabilità della difesa è indubbiamente in una fase di debolezza, il processo fondato sulle garanzie per tutti, il principio della uguaglianza di fronte alla legge, sono in crisi.

Una volta superati i “tribunali speciali” infatti, processo e difesa hanno iniziato a perdere la connotazione di baluardo di libertà, di presidio di democrazia, per divenire sempre più parametri economici su cui misurare gli investimenti esteri, piuttosto che lo Stato di diritto, sono stati sempre più interpretati come strumenti utili a favorire impunità piuttosto che a garantire l’innocente, sono stati sempre più deformati in merce mediatica.

Naturalmente ad essere messa in crisi nell’ambito di una scorretta interpretazione della giurisdizione è la figura dell’avvocato, figura da qualcuno ritenuta non più necessaria come custode dei diritti e delle garanzie, ma piuttosto funzionale con la propria professionalità al sistema di impresa.

Il tema sta tutto in questo passaggio, se l’avvocato sia necessario come sentinella di democrazia oppure no, se il diritto inalienabile alla difesa richieda la figura tecnica dell’avvocato, e quindi se questa figura debba essere senza esitazioni libera e indipendente.

Noi non abbiamo dubbi che sia così, anche per gli approdi sul punto della Corte Costituzionale, ma vi è un altro motivo che ci conferisce certezze, ed è quello per cui la magistratura deve avere un equilibratore nell’esercizio del proprio potere, e deve necessariamente essere un equilibratore tecnico, un vigilante delle regole e delle garanzie del processo.

La magistratura non può e non deve subire condizionamenti e contrappesi esterni alla giurisdizione, che non opererebbero il controllo secondo i principi del giusto processo, ma attraverso altri strumenti, che certo aprirebbero scenari tutt’altro che scontati e prevedibili. L’equilibrio tra i poteri dello Stato non può giustificare invasività di sorta, e i nostri costituenti lo strumento regolatore non invasivo ed interno alla giurisdizione l’hanno individuato proprio nell’esercizio non violabile della difesa da parte dell’avvocato.

Questa sensibilità al diritto di tutti alla difesa,

all’interno di una giurisdizione indipendente da pressioni esterne, va recuperata attraverso ciò che forse qualche decennio fa non era necessario, ma ora lo à, l’affermazione espressa in Costituzione della libertà e della indipendenza dell’avvocato, come garanzia di una giurisdizione piena.

E dobbiamo stare all’erta, perché oggi la giurisdizione è soggetta a diverse forme di possibili condizionamenti, la pressione mediatica esercitata nel nome dell’indice di ascolto, il tribunale del popolo che corre sul filo della rete spinto da suggestioni e pulsioni emotive, la ricerca dell’efficienza e della rapidità a tutti i costi, che porta a valutare il magistrato per quantità e velocità, piuttosto che per qualità ed equilibrio, e che spinge a individuare nelle garanzie processuali gli ostacoli a un processo rapido, e quindi spendibile presso gli osservatori economici, il rapporto non chiaro con alcune autorità indipendenti, il cui prezioso ruolo andrebbe meglio delineato e circoscritto.

Da qui anche la necessità di una stretta collaborazione tra avvocatura e magistratura per governare dall’interno il sistema della giurisdizione. Perciò il Consiglio Nazionale Forense crede fermamente nella importanza di proseguire in quel dialogo già concretamente in essere con le Giurisdizioni superiori, con il Consiglio Superiore della magistratura, con l’Avvocatura dello Stato, con l’attuale giunta ANM.

Analisi a parte merita il rapporto con la Stampa, che al di là dei diversi ruoli, deve trovare momenti di responsabilizzazione comune sul tema della tutela della dignità dell’individuo nel nostro sistema di informazione e più in generale su quello della violazione dei diritti fondamentali, che spesso, nel mondo, vedono come prime vittime proprio avvocati e giornalisti.

Non mi soffermo sulla necessità che la politica ascolti gli operatori del processo, avvocati e magistrati, per migliorare l’organizzazione del processo.

Voglio dare atto innanzitutto al Ministro della Giustizia, ma insieme al Governo e alla forze parlamentari tutte, di avere promosso iniziative normative a maggior tutela del decoro della prestazione professionale, come l’equo compenso, il legittimo impedimento della avvocata in gravidanza, i nuovi parametri.

Positivi anche gli sforzi del ministero in investimenti economici nel sistema giustizia, gli interventi a sostegno di una concezione del carcere e della pena maggiormente coerenti con il dettato costituzionale, come anche quelli a maggior tutela della privacy dell’individuo nel campo delle intercettazioni.

Ovviamente le soluzioni normative adottate presentano positività da rafforzare e criticità da limare.

L’avvocatura, d’altro canto, ha espresso la propria contrarietà con riferimento ad altre iniziative, ad esempiola c. d.

“sommarizzazione” del processo civile; il rischio di sacrificare il principio di prossimità, ma anche di efficienza, attraverso alcune delle soluzioni suggerite dalla riforma fallimentare; alcuni interventi in materia penale, ricordo qui ad es. il c. d. processo a distanza.

Una cosa però appare chiara, l’efficienza della giustizia non può più essere ricercata attraverso continui, vani e “snervanti” interventi sui codici di procedura, ma proseguendo nella politica intrapresa di investimenti in personale e strutture. Signor Presidente, è per me motivo di orgoglio ricordare in sua presenza lo straordinario sforzo che giornalmente compiono sul territorio i Consigli dell’Ordine, chiamati a garantire al cittadino un accesso informato al sistema giustizia, a garantire la qualità della professione, a svolgere opera sussidiaria, anche economica, nei confronti della Pubblica Amministrazione, anche se e nonostante ciò, norme spesso incomprensibili vengono riversate su tali Organi, imponendo loro soffocanti incombenti burocratici perfetta- mente inutili, che nulla hanno a che fare con la natura e la funzione ordinistica.

Agli Ordini andrà invece riconosciuta la piena compartecipazione nella organizzazione della giurisdizione sul territorio, sia nelle conferenze permanenti che nei consigli giudiziari.

Ma va segnalato anche quanto sia preziosa la funzione dei Consigli Distrettuali di disciplina, presidi di quella deontologia vero pilastro della professione, che qualcuno in maniera molto sbrigativa e molto poco responsabile, vorrebbe liquidare come strumento anti concorrenziale, sino a giungere a favorire l’affacciarsi di modelli di acquisizione di clientela certamente immorali, quale lo sfruttamento delle tragedie e del dolore altrui. Va detto con forza che l’avvocatura italiana non ha nessuna intenzione di adeguarsi a questi modelli, e non lo farà.

Fondamentale anche l’operato delle Unioni, della Cassa Forense, dei Comitati pari opportunità, dell’Organismo Congressuale Forense, delle Associazioni. Che ringrazio.

All’inizio ho fatto cenno a diverse ricorrenze, ricorrono anche i settant’ anni dall’assassinio di Gandhi, Gandhi era avvocato e, iniziando molto giovane a esercitare, scoprì il mondo dei diritti e del diritto di ogni persona a vivere dignitosamente.

Gandhi affermava come fosse impossibile non avere paura, ma come fosse necessario affrontarla e superarla se convinti della giustezza della causa.

E noi portiamo la toga per una giusta causa, per avvolgere e tutelare la paziente abbandonata tra le strade di Baltimora, per dare speranza a chi è prigioniero di un tempo congelato, per difendere lo Stato di diritto.

Fu per ciò che dopo l’uccisione di Fulvio Croce, al termine del processo alle brigare rosse, gli avvocati non pronunciarono arringhe, ma lessero un documento comune, poi si voltarono verso gli imputati e mostrarono loro la toga.

Signor Presidente, grazie ancora per l’onore che ci ha fatto, e stia certo che l’avvocatura italiana Le sarà sempre a fianco, senza paura, nel suo ruolo di garante della Repubblica.

IL TESTO DEL DISCORSO PRONUNCIATO IERI DAL PRESIDENTE DEL CNF ALLA CERIMONIA DI APERTURA DELL’ANNO GIUDIZIARIO DELL’AVVOCATURA