A vederlo così, lo sguardo vacuo, l’andatura da pinguino, il piglio delirante dello Stranamore asiatico, Kim Jong- un sembra la caricatura di un satrapo, una tragica macchietta che rischia di trascinare il mondo in un insensato quanto devastante conflitto nucleare. Non molto diverso dal mentecatto protagonista di The Interview il satirico biopic di Evan Goldemberg consacrato proprio alla vita e alle gesta del giovane Kim.

E in effetti l’uomo forte di Pyongyang ce la sta mettendo tutta per seminare sconcerto e paura nella comunità internazionale, che si tratti di «distruggere gli Stati Uniti», «polverizzare la Corea del Sud», «annientare il Giappone», l’escalation di lanci missilistici e dichiarazioni roventi ne ha fatto il protagonista assoluto dell’estate configurando una crisi dal sapore pre- bellico.

Davvero il dittatore nordcoreano è pronto a scatenare una guerra atomica per le sue deliranti manie di grandezza? Che interesse avrebbe nel vedere il suo piccolo e malconcio paese inveso e distrutto dagli eserciti alleati?

Per comprendere le mosse di Kim in molti chiamano in causa la piscoanalisi tratteggiando un profilo borderline caratterizzato dalla psicosi e dalla paranoia, un uomo assediato dalle sue capricciose e apocalittiche visioni, vendicativo oltre ogni limite quanto sconnesso dal reale e dalle sue dinamiche. Kim “il pazzo”, imprevedibile e fuori controllo, comandante in capo di un esercito di oltre due milioni di uomini e di un arsenale in parte antiquato ma non per questo meno letale. In questa lettura le sorti del pianeta sarebbero affidate ai deliri di uno squilibrato, di un malato di mente ancora più schizzato di Donald Trump, altro leader descritto dai diversi media attraverso l’opinabile categoria della piscoanalisi.

La sua biografia è un condensato di propaganda e aneddotica grottesca in cui è quasi impossibile separare i fatti dalle legende, la realtà dalla mitologia.

Sappiamo che è nato un 8 gennaio, ma non di quale anno: forse il 1983 o 1984 anche se gli almanacchi ufficiali indicano il 1982, 40 anni esatti dalla nascita del padre Kim Jong- Il e 70 da quella del nonno Kim Il Song, fondatore del regno eremita. In questa coincidenza coatta di date c’è molto del carattere mistico del regime nordcoreano in cui la numerologia rispecchia un’ordine di cose trascendente, un’idea quasi religiosa di perfezione e simmetria. L’infanzia di Kim non ricca di eventi; la trascorre in un palazzo di Pyongyang circondato da domestici e guardie del corpo. Naturalmente è uno studente modello che ottiene il massimo dei voti anche se non frequenta una scuola ma riceve lezioni private dai migliori insegnanti del paese. Di sicuro ama molto guardare la tv, in particolare i cartoni animati, nella fattispecie i personaggi di Walt Disney, una passione che lo accompagna ancora oggi.

A nove anni suo primo viaggio fuori dai confini nazionali: se ne va a Tokyo con la mamma Ko Younghee per visitare il parco giochi di Disneyworld, passa la dogana munito di un passaporto brasiliano con la falsa identità di Joseph Park. Nel 1996 viene iscritto a una scuola internazionale di lingua inglese a Gümligen, cittadina svizzera a pochi chilometri da Berna. Ufficialmente è il figlio di un funzionario dell’ambasciata nordcoreana. I suoi vecchi compagni di corso parlano di un ragazzo dal temperamento calmo e gioviale: «Anche se non usciva mai di casa dopo le lezioni era amichevole e ironico, simpatizzava senza problemi con gli studenti di ogni paese», racconta un ex studente tedesco al Welt. Insomma, Kim non è diverso da tanti altri giovani occidentali della sua età: ama il basket ed è un grande fan di Michel Jordan, colleziona scarpe da ginnastica Nike, succhia sigari cubani, divora hamburger e fa scorpacciate di film d’azione, attori preferiti Jean- Claude Van Damme e Jackie Chan.

Quando ritorna in patria frequenta la scuola ufficiali all’Accademia militare di Pyongyang e successivamente alla scuola di artiglieria. Verso la metà degli anni 2000 inizia a lavorare con il padre, il “caro leader” Kim Jong Il che nel 2008 lo designa come suo successore: i suoi due fratelli maggiori sono messi ai margini, uno perché «troppo effemminato», l’altro, Kim Jong- nan ( ucciso all’aeroporto di Kala Lumpur lo scorso febbraio) perché «drogato di gioco d’azzardo». Fisicamente ricorda il nonno Kim Il Song e, secondo alcune voci di corridoio, avrebbe subito diversi interventi di chirurgia plastica per assomigliare all’illustre parente. Nel 2011, alla morte del padre, diventa il più giovane capo di Stato del mondo, a meno di 30 anni è dichiarato «guida suprema». In sei anni di potere assoluto, oltre alla passione per i missili atomici, si distingue per una spietata repressione interna che si abbatte sui suoi collaboratori più stretti e sui familiari, come lo zio Jang Song Thaek, accusato di sedizione e fatto sbranare dai cani feroci o il responsabile della Difesa Hyon Yong- chol, giustiziato in pubblico a colpi di cannone per essersi addormentato durante una parata militare.

Le purghe di Kim sono state enfatizzate a dismisura dai media pro- prio nell’intento di descrivere uno piscolabile pronto a scatenare l’inferno anche contro i suoi nemici esterni, ma in fondo i comportamenti del dittatore norcoreano hanno una loro logica. Alzare continuamente il tiro senza mai spezzare la corda può essere un gioco pericoloso ma è anche un modo efficace per aumentare il potere di deterrenza di Pyongyang. Kim ha osservato la fine di due raìs come Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, entrambi privi di arsenali nucoleari, e non ha alcuna voglia seguire le loro orme. La pensa così David Kang, analista di politica internazionale del Foreing affair britannico, convinto che Kim Jongun non solo non sia un pazzo furioso, ma che il suo comportamento sia perfettamente razionale e comprensibile. A partire dalla gestione degli affari interni e dalle politiche economiche adottate dal 2011 a oggi, periodo in cui il Paese è passato dalla carestia più a una relativa prosperità. Nonostante le sanzioni la Corea del Nord ha avuto una crescita costante, fino al 4% dello scorso anno. Permettendo ai contadini e agli operai agricoli di rivendere le eccedenze sugli obiettivi pianificati ha permesso alle famiglie delle zone rurali di scongiurare nuove carestie aumentando il benessere dei ceti più svantaggiati.

Come spiega Kang, «la gran parte dei commentatori occidentali ma anche molti diplomatici ironizzano sempre su Kim, definendolo come un idiota sadico e pericoloso, una mina vagante, ma si sbagliano, Kim non è affatto un buffone, al contrario si comporta come il Ceo di una grande impresa, la Nord Corea Inc, in tal senso è un amministratore molto efficace, in grado di individuare il malcontento e rimuoverlo, di promuovere chi condivide la sua visione, di proteggere la sua impresa dall’instabilità e di far progredire il suo programma». Insomma, come diceva Polonio a proposito di Amleto, «c’è del metodo in questa follia»