«Illustrissimo Signor Presidente Sergio Mattarella, l’Avvocatura italiana rivolge a Lei, la più alta Magistratura della Repubblica, un rispettoso appello affinché voglia prendere in considerazione la facoltà di rinviare alle Camere la legge annuale per il mercato e la concorrenza approvata definitivamente dal Senato della Repubblica. L’esercizio delle prerogative costituzionali affidate al Suo altissimo Ministero consentirebbe infatti una più adeguata ponderazione di due delicati profili che riguardano la professione forense e, dunque, i diritti dei cittadini: la disciplina delle società di capitali per l’esercizio della professione di avvocato, e le norme in materia di prove nei contenziosi relativi ai sinistri stradali. La legge annuale per la concorrenza è un provvedimento omnibus, che contiene inevitabilmente materie eterogenee e assai diversificate: inserire in essa previsioni quale quelle accennate ha inevitabilmente finito per sacrificare le ragioni giuridiche del dibattito a tutto vantaggio delle prospettive economiciste, a cominciare dal radicamento della sede referente nelle Commissioni attività produttive delle Camere, piuttosto che nelle Commissioni Giustizia, più adatte, per composizione e missione istituzionale, ad occuparsi dei temi dei diritti. Lo dimostrano le persistenti criticità che, malgrado correttivi ancora insufficienti, affliggono le norme in questione. Ed infatti, con riferimento alle società tra avvocati, si osserva quanto segue:

SOCI DI CAPITALE

L’ingresso di soci di capitale ( come tali interessati per definizione soltanto all’accrescimento del capitale investito e alla ripartizione degli utili) pone la società tra avvocati in una prospettiva nella quale gli interessi da difendere e il tempo dedicato alla difesa dipendono esclusivamente dalla redditività che cause e consulenze possono recare. Il rischio è cioè quello che il capitale condizioni la libertà professionale ( cfr. art. 15, Carta europea dei diritti fondamentali) nell’assunzione del mandato professionale. È appena il caso di ricordare come l’indipendenza dell’avvocato, al pari dell’indipendenza del giudice, è il presupposto dell’evoluzione dell’ordinamento verso soglie di protezione più avanzata dei diritti e delle libertà fondamentali, ed è valore necessario alla società democratica ( Corte di giustizia, sez. VIII, 6 settembre 2012, in cause riunite C- 422/ 11 P e C423/ 11 P).

GOVERNANCE E RESPONSABILITÀ

In tema di governance, il testo, pur sancendo ora che la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere di avvocati, non assicura affatto che lo sia l’amministratore delegato, o comunque il componente con i più ampi poteri gestori. Del tutto abnorme resta il regime della responsabilità professionale. Il socio di puro capitale godrà delle limitazioni patrimoniali in caso di risarcimento di eventuali danni, mentre l’avvocato che effettuerà la prestazione sarà soggetto a responsabilità piena, senza limiti. L’ingresso di meri finanziatori nella compagine e negli organi sociali menoma l’autonomia decisionale dei professionisti, i quali soli possono rendere le specifiche prestazioni professionali e delle quali assumono la responsabilità di fronte al cliente: nei fatti, i finanziatori decideranno se e come assistere un cliente e – profilo su cui giova porre attenzione – gli effetti di una decisione sconsiderata ricadranno sugli avvocati, dal momento che non i primi, bensì i secondi, sono tenuti a rendere la prestazione professionale, assumendone la responsabilità professionale piena ( rispetto alla quale, quanto all’ammontare di un eventuale risarcimento, non può essere invocata la limitazione patrimoniale della quale, invece, godono le società di capitali e i loro meri finanziatori). Nessun requisito di onorabilità è previsto per il socio non avvocato, con il rischio della infiltrazione di capitali illeciti negli studi legali, o, peggio ancora, di capitali legati direttamente o indirettamente ad organizzazioni criminali.

CARENZE

Manca del tutto il fondamentale aspetto dell’inquadramento fiscale dei redditi della società tra avvocati, lacuna propria anche della disciplina delle altre Società tra professionisti ( art. 10, l. 183/ 2011). Mentre l’attuale disciplina delle società tra avvocati ( art. 5, l. 247/ 2012) prevede invece espressamente che il reddito prodotto dalle società tra avvocati debba essere considerato reddito da lavoro autonomo ai fini fiscali. È utile considerare che, stando all’opinione diffusa degli studiosi, l’incertezza sul regime fiscale ha rappresentato e rappresenta il deterrente più significativo al decollo delle società tra professionisti, istituto infatti mai decollato.

Manca del tutto il delicato profilo del trattamento previdenziale e dei rapporti con le casse professionali, la cui elaborazione è tecnicamente complessa e richiede una attenta ponderazione degli effetti sugli equilibri patrimoniali delle casse e sui diritti previdenziali degli iscritti.

Manca del tutto la regolazione della crisi della società tra avvocati.

Manca del tutto una compiuta disciplina delle società c. d. multidisciplinari che pongono complesse questioni tecniche, fra l’altro con riferimento al riparto di competenze tra i vari ordini professionali e alla soggezione dei relativi ordinamenti.

Manca la disciplina della ragione sociale e della sorte di essa in caso di cessazione dalla qualità di socio ( per decesso o altre cause).

Manca la disciplina degli obblighi di informazione della società nei confronti del cliente, che dovrebbe invece consentire al cliente la possibilità di scegliere lui, nell’ambito delle professionalità presenti, a quale avvocato affidarsi.

Manca la disciplina che eviti conflitti di interessi e limiti la società tra avvocati nella possibilità di influenzare il voto dei professionisti afferenti, nelle elezioni dei Consigli dell’ordine e del Consiglio nazionale.

ASSICURAZIONI

Riguardo al secondo punto ( le nuove norme in materia di contenziosi che coinvolgano compagnie assicurative), la nuova legge introduce un grave squilibrio in favore delle assicurazioni ed in danno dei cittadini. Con le modifiche introdotte, infatti, chi denuncia un sinistro è obbligato a indicare i nomi di tutti gli eventuali testimoni già nel primo atto con cui comunica il sinistro alla compagnia. Cosicché eventuali successive indicazioni di testimoni non potranno valere come prova in giudizio. Tali vincoli non sono previsti per le compagnie assicurative, con evidente violazione del principio di parità delle parti in relazione all’accesso ai mezzi di prova, econseguente compressione del diritto al contraddittorio. L’Avvocatura italiana non è pregiudizialmente ostile alleinnovazioni ed alle modernizzazioni che sono necessarie per rendere il nostro un Paese più efficiente, ma, per le ragioni sopra esposte, auspica un ripensamento che solo il rinvio del provvedimento alle Camere potrebbe consentire, onde i delicatissimi temi qui richiamati possano trovare una sede di discussione e di disciplina diversa dalla legge per la concorrenza, e dalla prospettiva economicista che inevitabilmente la segna».

Andrea Mascherin, presidente del Consiglio Nazionale Forense Antonio Rosa, coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense