«La storiografia ha riservato finora poco spazio alla storia del Tribunale speciale per la difesa dello Stato in quanto, nel dopoguerra, il suo archivio non era accessibile e persino Renzo De Felice – che fu sicuramente il maggiore storico del fascismo in generale e di Mussolini in particolare – gli dedicò soltanto una pagina e mezzo. Solo recentemente il materiale in questione è stato in parte inventariato e mi è stato possibile consultarlo». Nel suo ultimo saggio, Il tribunale del Duce ( Mondadori), lo storico del fascismo e dell’Italia repubblicana Mimmo Franzinelli ripercorre, attraverso una ricostruzione ampia e dettagliata, le principali evoluzioni dell’operato e del retaggio dell’istituzione che, dal 1927 al 1943, fu espressione fra le più puntuali e drammatiche delle istanze repressive del regime fascista.

Franzinelli, per quale motivo venne istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato? Mussolini non si fidava della ma- gistratura ordinaria in quanto era composta da giudici che si erano formati culturalmente in un sistema liberale e che per reati politici avevano assolto alcuni antifascisti, in particolare il comunista Amedeo Bordiga e l’azionista sardo Emilio Lussu: quei processi contrariarono sia Mussolini sia il Ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco che, cogliendo l’occasione dell’attentato di Anteo Zamboni avvenuto a Bologna il 31 ottobre 1926, introdussero le cosiddette Leggi fascistissime. Nacque così il nuovo Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, una via di mezzo fra un tribunale politico e uno militare.

Con quali criteri venivano scelti i membri del Tribunale speciale?

I giudici erano delle camicie nere, la maggioranza dei quali ignorava i fondamenti del diritto. Per questo motivo, la corte venne integrata da due magistrati – uno proveniente dalla giustizia ordinaria e l’altro dalla giustizia militare – con funzioni di supporto, per istituire processi che ho dimostrato – sulla base dll’archivio del Tribunale speciale per la difesa dello Stato – essere delle farse, in quanto le relative sentenze erano decise in anticipo dal presidente del Tribunale Speciale e dallo stesso Mussolini.

Caratteristica del Tribunale speciale era anche un alto grado di spettacolarizzazione dei processi...

Questo è l’aspetto che più mi ha intrigato, anche per via delle sue relazioni con l’attualità. Laddove il potere tende a divenire assoluto, totalitario, l’impiego della violenza da parte dei dissidenti viene largamente strumentalizzato. È quello che sta avvenendo negli ultimi sei mesi in Turchia: attentati, presunti colpi di Stato e chi è al potere esercita una reazione durissima, il cui esito ultimo è l’instaurazione della dittatura.

Per alcune personalità di spicco del Tribunale speciale, più che l’ideologia contava l’arrivismo e l’avidità...

Ci sono aspetti che attengono alle debolezze umane, come la tendenza – che accomuna ieri e oggi – da parte di alti funzionari delle istituzioni a trarre un certo profitto personale, unendo in tal modo l’utile al dilettevole. Il Tribunale speciale usufruiva di un bilancio ragguardevole sul quale nessuno indagava – alcune spese non avevano neanche bisogno di una rendicontazione – e del quale, ovviamente, certuni se ne approfittavano. La stampa non poteva informare su questo aspetto per non far perdere credibilità al Tribunale.

Qual era il ruolo della stampa, italiana e internazionale, in relazione a tal contesto?

Mentre all’interno del Paese la stampa ( in particolare Il Popolo d’Italia) si limitava, facendo di necessità virtù, a pubblicare le veline, cioè le direttive che promuovevano l’azione di governo e del Tribunale Speciale – pubblicandole in modo totalmente acritico – all’estero, al contrario, la stampa antifascista di opposizione ( La Libertà e Giustizia e Libertà, entrambi pubblicati a Parigi) enfatizzava i tratti liberticidi del suddetto Tribunale. Il fatto è che questi due settimanali, divulgati in Francia, non potevano assolutamente essere diffusi in Italia e, di conseguenza, l’opinione pubblica italiana non era ben informata su quanto stava accadendo.

Sempre fuori dall’Italia, hanno giocato un ruolo di primo piano intellettuali internazionali come Thomas Mann, Romain Rolland e altri...

Anche questo è un aspetto piuttosto indicativo. Si assistette a un moto di solidarietà internazionale suscitato soprattutto dalla figura di un grande politico italiano, Gaetano Salvemini, lui stesso esule, che, in virtù dei propri rapporti con altri intellettuali – fra i quali quelli da lei citati – raccolse firme contro la persecuzione politica in atto.

In alcune occasioni, persino il Tribunale speciale si è dovuto arrestare. Ci può parlare del caso dell’irlandese Violet Gibson?

Questa è una storia davvero singolare. Mentre una parte di antifascisti si arrovellava escogitando i modi più fantasiosi e improbabili per eliminare Mussolini e la polizia era ossessionata dalla possibilità di attentati e mandava informatori ovunque, l’attentatrice che più si avvicinò a raggiungere il suo proposito fu una visionaria, l’irlandese Violet Gibson. In alcuni appunti sconnessi – che furono poi sequestrati – affermava di sentire una voce divina che le ordinava di uccidere Mussolini o il Papa. Giunse davanti al Duce e sparò una revolverata, dal quale si salvò per una frazione di secondo: mentre l’attentatrice esplodeva il colpo, Mussolini si girò per rispondere al saluto di alcuni studenti, e questa rotazione del capo gli valse solo una leggera ferita al naso. Il Tribunale speciale si rese conto che non esisteva alcuna pista politica ma che si trattava solo del gesto di una folle e la fece prelevare e tradurre nel suo Paese.

Colpisce che persino misure che potrebbero sembrare positive di- ventano un’arma: mi riferisco all’amnistia e alla concessione della grazia.

Mussolini era un dittatore molto lucido: la sua teoria era che la violenza doveva essere usata in modo molto selettivo – “chirurgico” era il termine da lui utilizzato. Di conseguenza, dopo le condanne, chi tra oppositori e dissidenti si “ravvedeva” poteva uscire dal carcere attraverso un provvedimento di grazia sovrana. Ciò veniva fatto non per generosità ma per un accorto calcolo politico. Periodiche amnistie rimettevano in libertà i condannati, ma era pur sempre una libertà che possiamo considerare provvisoria, in quanto risultavano comunque schedati e soggetti a diverse privazioni. Dovevano – per attingere alla terminologia fascista – “rigare dritto”, altrimenti si riapriva per loro la porta della prigione.

L’antifemminismo, all’epoca, era diffuso sia negli ambienti fascisti che in quelli d’opposizione...

Non possiamo non tener conto della cultura italiana del tempo, una cultura maschilista dominata da stereotipi cattolici per i quali la donna era l’angelo del focolare. La donna che si interessava di politica risultava quindi essere una snaturata. L’atteggiamento dei giudici del Tribunale speciale risentiva di questa mentalità: da un lato si tendeva, in modo paternalistico, a essere comprensivi, giudicando le imputate influenzate dalle idee del marito o del fidanzato e quindi passibili di una condanna minore, mentre dall’altro, laddove esse si assumessero fino in fondo le responsabilità delle proprie azioni, venivano considerate donne che avevano tradito la propria missione civile e le condanne erano maggiorate.

Alla fine della guerra si assistette a un’epurazione- farsa: vi fu l’amnistia Togliatti e la magistratura repubblicana che addirittura, in alcuni casi, segnò una continuità con l’operato del Tribunale speciale...

Il Tribunale speciale venne sciolto ma i suoi carteggi – comprese le istruttorie in corso – non furono archiviati ma passati al tribunale militare. Nel 1946 vi fu l’amnistia Togliatti: i giudici del dissolto Tribunale speciale superarono agevolmente l’epurazione mentre le condanne da esso comminate restarono in vigore, tranne nei casi in cui, dalla parte del condannato, si impugnasse la sentenza e si arrivasse al cosiddetto giudizio di revisione, che in talune occasioni confermò la condanna. In particolar modo, quelle prescritte durante la guerra vennero, dopo il 1945, interpretate retroattivamente dai giudici come valide poiché determinate non da un reato politico o antifascista ma da un reato antipatriottico.

Il Tribunale speciale era espressione del trionfo della politica sulla magistratura; oggi come ritiene essere l’equilibrio fra l’ambito giudiziario e quello politico?

La mia impressione è che abbiamo due caste, quella politica e quella giudiziaria; su alcune cose vanno d’accordo mentre su altre vi è un’accesa rivalità. Credo che sarebbe opportuno avvicinare queste caste alla realtà quotidiana. Le farò solo un esempio: chi volesse fare uno studio sulla genealogia dei magistrati scoprirebbe, con grande sorpresa, che nella maggior parte dei casi si tratta di figli o nipoti di altri magistrati. A mio avviso, questa costituisce la negazione della democrazia: l’evidente immobilità sociale presente in Italia favorisce il radicamento delle caste.