È una storia incredibile. Incredibile ma verissima: C’è una bambina piccola piccola, che ha appena 14 mesi e ha subito da poco un’operazione chirurgica abbastanza complicata alla bocca e al palato. Ha bisogno di cure continue. Non può averle. Perché? Perché vive in prigione. Sì: in cella, a Cagliari, con la sua mamma, una giovane donna rom che ha subito varie piccole condanne, ma che sommate l’una all’altra le costano otto anni. Il caso, che francamente è clamoroso, è stato denunciato da Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione “Socialismo Diritti Riforme” che si occupa dei diritti dei detenuti nelle carceri sarde.

Una bambina di 14 mesi ha bisogno di cure perché ha subito un intervento chirurgico piuttosto delicato alla bocca e al palato. Ma è in carcere con la madre e queste cure non può riceverle. La donna - che è una rom - ha subìto una serie di condanne definitive per reati minori, ma le condanne si sono accumulate fino ad arrivare a otto anni di reclusione. A denunciare la vicenda è Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione “Socialismo Diritti Riforme” che si occupa dei diritti dei detenuti nelle carceri sarde.

«Da una settimana, la bambina è rinchiusa con la giovane madre nella sezione femminile della Casa Circondariale di Cagliari- Uta - dice Caligaris -, la piccola, che ha subito di recente un intervento chirurgico di labiopalatoschisi, necessita di particolari condizioni igienico- sanitarie e nutrizionali. La sua permanenza in carcere, nonostante l’impegno delle agenti, dei medici e degli infermieri, risulta inaccettabile. Le Istituzioni devono farsi carico di trovare una sistemazione alternativa alla donna e alla bambina».

Sottolinea sempre la presidente di Sdr: «Madre e figlia sono assistite con professionalità e tenerezza, ma la situazione è tuttavia molto delicata perché la bimba deve essere costantemente monitorata e le visite pediatriche in ospedale possono avvenire solo con la scorta in un momento in cui peraltro il numero del personale penitenziario è ridotto all’osso. Per quanto possano esservi esigenze cautelari gravi una madre con una creatura di 14 mesi, e altri due bambini in tenera età, non può stare in carcere e le istituzioni devono farsi carico di trovare delle strutture a custodia attenuata». Ci sarebbe l’Icam ( Istituto a custodia attenuata per detenute madri) ma è dislocato purtroppo in una località periferica e richiede la presenza costante di agenti della polizia penitenziaria. E allora. Dice la Calligaris: «Esistono alternative alla detenzione carceraria che non possono essere ignorate».

Nonostante gli sforzi del ministro della Giustizia per risolvere la questione dei bambini dietro le sbarre, i numeri ancora risultano alti. Secondo l’ultima proiezione messa a disposizione dal ministero della Giustizia, al 31 dicembre del 2016 all’interno delle carceri italiani sono detenuti 37 bambini. Sempre dalla stessa statistica risulta che ad oggi gli Icam attualmente sono a Torino ' Lorusso e Cutugno', Milano ' San Vittore', Venezia ' Giudecca' e a Cagliari. Quest’ultimo, come ha denunciato la presidente di Sdr, si trova in una località periferica e quindi presenta delle criticità logistiche.

Quella di portare i figli in carcere è una possibilità prevista dalla legge 354 del 1975, per le madri di bambini da 0 a tre anni. Il senso è quello di evitare il distacco o, per lo meno, di ritardarlo. Ma gli effetti su chi trascorre i suoi primi anni di vita in cella sono devastanti e permanenti. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva affrontato il problema dei bambini in carcere avviando a Milano la sperimentazione di un tipo di istituto a custodia attenuata per madri. Tale modello è stato realizzato in una sede esterna agli istituti penitenziari, dotata di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini. Ad oggi il governo ancora non ha adeguatamente investito in tali strutture esterne al carcere e quindi decine di bambini sono costretti a vivere dentro le patrie galere.

L’altro problema è quello della troppo ampia discrezionalità dei magistrati di sorveglianza. Nonostante la legge contempli anche la detenzione domiciliare per le detenute madri, non sempre il magistrato la concede. Uno dei motivi principali è anche la residenza inesistente oppure inadatta, e colpisce soprattutto le detenute straniere e rom come nel caso denunciato da Caligaris. Per sanare questo problema, la legge contempla anche la realizzazione delle case famiglia protette. Ad oggi ne è stata realizzata solo una grazie al finanziamento di 150 mila euro da parte della fondazione Poste insieme onlus. Si chiama “Casa di Leda “ ed è un edificio confiscato alla mafia nel quartiere romano dell’Eur. Ancora non è operativa, ma il comune di Roma ha promesso che lo sarà al più presto.