di Piero Sansonetti

Il problema dell’odio, dell’eccesso di odio nella lotta politica, non è solo una questione culturale. E’ un problema molto concreto, perché l’odio sta scalzando la stessa lotta politica. Sostituendola, assumendone la funzione. E sta prendendo il posto dei programmi, delle idee. L’odio – che una volta era un accessorio del conflitto, una aggiunta – è diventato l’essenziale, e soprattutto è diventato lo strumento principale della conquista del consenso. Odia, odia, vedrai che diventi popolare.

Vorrei sottoporvi questo titolo pubblicato ieri con grande evidenza sulla prima pagina del “Fatto”. Dice così, testualmente: «Alfano, ministro della malavita, sulla tomba del latitante Craxi».

Cos’è che colpisce? Certo, colpisce l’ingiuria, usata con incredibile arroganza e leggerezza. Alfano viene qualificato come un gangster. Il capo dei gangster.

Il riferimento è probabilmente a una polemica del primo novecento tra Gaetano Salvemini e Giovanni Giolitti, per via dei brogli elettorali dei giolittiani in Puglia. Salvemini usò quell’epiteto. Ma nell’articolo del “Fatto” non c’è nessun accenno a Salvemini, del resto il povero articolista neanche si sogna di definire Alfano un bandito. La polemica è tutta del titoli- sta. Il quale, probabilmente, già sa che la magistratura difficilmente condannerà il “Fatto” che è il suo giornale di riferimento, e quindi non fa caso agli insulti e li usa con larghezza. ( Se penso che un Pm di Palermo mi ha chiesto più di centomila euro di risarcimento per aver scritto che era stato maleducato nell’interrogatorio di De Mita, mi chiedo quanto potrebbe chiedere Alfano apostrofato come il capo della delinquenza: 1 milione, 10 milioni? E però son sicuro che il Pm di Palermo con me vincerà, e Alfano non vedrà mai una lira...).

Ma quel che più colpisce nel titolo non è nemmeno l’improperio sfrontato per il ministro. E’ l’odio, l’odio incontenibile e viscerale e imperituro, per un signore che ha contribuito a fare la storia della repubblica, che ha avuto un ruolo importantissimo nella storia della sinistra, e che è morto quasi vent’anni fa. Il gusto di parlare di una persona morta apostrofandola come latitante, ha pochi precedenti nelle tradizioni della polemica politica italiana. L’odio, l’odio come carburante per l’intelletto. L’odio come certezza dell’esistere. Come assicurazione sulla propria probità.

Voi dite che ormai è una tendenza inarrestabile? Speriamo di no.