BRASILE, NEL PENITENZIARIO DI MONTE CRISTO DRAMMATICO SCONTRO TRA CLAN RIVALI: CORPI SMEMBRATI O DECAPITATI

Orrore e strazio per l’ennesima strage nelle carceri brasiliane. Almeno 33 detenuti sono morti la notte scorsa nel corso di una rivolta nel maggiore penitenziario dello stato di Roraima, nel nord del paese. La sommossa è scoppiata nel carcere agricolo di Monte Cristo, a Boa Vista, ed è durata circa un’ora. La maggioranza delle vittime è stata decapitata. Sono stati rinvenuti vari corpi smembrati: ad alcuni cadaveri è stato addirittura strappato il cuore dal petto. È servito a poco il pur tempestivo intervento delle forze speciali della polizia. Impressionante infatti la barbarie che caratterizza questi scontri tra gang rivali. Il nuovo regolamento di conti potrebbe essere soltanto l’ultima delle rappresaglie tra bande. I detenuti uccisi presentavano ferite da arma da taglio, non è stata rinvenuta invece alcuna arma da fuoco.

A provocare la rivolta sarebbe stata la gang Primeiro Comando da Capital di San Paolo, che ha voluto così vendicare le precedenti morti dei suoi esponenti, avvenute tra l’ 1 e il 2 gennaio, nell’Anisio Jobim, nello Stato amazzonico di Manaus. Qui i disordini hanno causato, nel giro di 17 ore, la morte di altri 56 detenuti. Alcuni sono stati decapitati, altri bruciati vivi. Un centinaio gli evasi, che hanno sfruttato la concitazione del momento.

L’escalation di violenza all’interno degli istituti penitenziari del Paese sudamericano non sembra conoscere sosta. Nella stessa prigione di Monte Cristo in dieci vennero uccisi lo scorso ottobre nelle violenze scatenate da bande rivali legate al traffico di droga. Tra queste il Commando Rosso, organizzazione di Rio de Janeiro alleata con il cartello locale della Famiglia del Nord, la stessa gang che avrebbe scatenato la strage del carcere di Manaus di pochi giorni fa.

L’intero paese è sotto choc. Il presidente Michel Temer, il ministro della Giustizia Alexander de Moraes, la Polizia militare, le strutture statali che si occupano dei detenuti, sono chiamate a reagire. Recentemente il governo ha annunciato un progetto da 250 milioni di dollari per la costruzione di un carcere in ognuno dei 26 stati che compongono il Brasile ed affrontare l’emergenza del sovraffollamento carcerario. Un intervento deciso sembra ormai indispensabile, anche in virtù delle pessime condizioni di vita dietro le sbarre. Il piano nazionale di pubblica sicurezza prevede anche la modernizzazione delle strutture di detenzione.

«Il carcere - commenta André Bezerra, presidente dell’Associazione Giudici per la democrazia - resta il vero carburante per il crimine». Il Brasile si conferma il quarto paese al mondo con la più grande popolazione carceraria, dopo colossi come Usa, Cina e Russia. I suoi 22 penitenziari ospitano oltre 620mila detenuti. Il 60 per cento sono neri, il 70 per cento non ha neanche la licenza elementare. Ventotto su cento sono reclusi per reati legati al traffico di droga, 25 per rapina e 10 per omicidio. In dieci anni, dal 2004 al 2014, il tasso di reclusione è aumentato del 67 per cento. Entrano in cella più di quelli che escono, anche per l’annosa lentezza dei processi: 40 su cento sono in attesa di giudizio. E spesso dopo il primo grado sono già liberi. Anche i costi sono esorbitanti per una nazione già provata dal rosso originato dai Mondiali di calcio e dalle Olimpiadi. Un detenuto costa allo Stato 2.400 reais al mese; uno studente 2.200 l’anno.

Soltanto due giorni fa Papa Francesco, durante l’udienza generale, aveva espresso «dolore e preoccupazione» per quanto accaduto a Manaus, invitando i fedeli «a pregare per i defunti, i loro familiari, i detenuti e quanti lavorano» nel carcere. Il pontefice ha chiesto di rendere davvero gli istituti penitenziari «luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale», con condizioni di vita degne. Ma in Brasile il ritorno alla normalità sembra distante anni luce.

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