L'onorevole Moro era un uomo d'altri tempi. Non solo nel senso, ovvio, che apparteneva a un'altra epoca politica. Ma anche, e soprattutto, nel senso che aveva una sua idea, antica e radicata, cauta e prudente, pensosa, mai affrettata, dello scorrere del tempo politico. Quando Craxi, appena eletto segretario del Psi, lo andò a trovare la prima volta nello studio di via Savoia per raccontargli il suo progetto, lui commentò con i suoi intimi che aveva detto cose interessanti ma per le quali ci sarebbe voluto «molto, molto tempo». E quando Lima un giorno gli confidò che voleva aderire alla sua corrente, gli rispose sornione: «C'è tempo». Che era un modo di sottrarsi all'imbarazzo, certo. Ma era anche un modo di intendere la politica.Ironizzava sulle riforme, segnalando che occorreva sempre stare in guardia dai guasti che una eccessiva frenesia innovativa era destinata a produrre. E considerava la fretta come indice di avventatezza e superficialità.Un giorno gli raccontarono che Andreotti aveva "scritto" per l'editore Laterza il libro-intervista su De Gasperi intrattenendo il giornalista co-autore per tre, quattro ore un pomeriggio a Palazzi Chigi. Se ne mostrò scandalizzato, come se quel poco tempo dedicato all'argomento fosse quasi un affronto alla memoria del padre nobile dei democristiani.Aveva preso il suo primo aereo che era già presidente del Consiglio. Era morta la mamma di Saragat, capo dello Stato, e non avrebbe fatto in tempo a raggiungere Torino con i mezzi che solitamente prediligeva. Il suo ritmo era quello delle sue camminate: lente e pensose. Impiegava ore e ore a scrivere puntigliosamente i suoi discorsi, con una grafia quasi incomprensibile, ma con una cura certosina per i dettagli, le sfumature, l'aggettivazione. Diffidava delle mode. Chiamava "il fratturato" l'abito spezzato, segno della sua poca approvazione. E quando il suo portavoce, Corrado Guerzoni, un giorno si presentò nel suo ufficio con un maglione dolce vita sotto un impeccabile vestito grigio, commentò con ironia che i figli avrebbero sicuramente apprezzato un papà così moderno e al passo coi tempi. Come dire: la prossima volta indossi la cravatta.Quando sul finire degli anni Settanta una larga parte della gioventù democristiana prese ad inneggiare con un tifo da stadio al segretario Zaccagnini, Moro - che pure lo aveva fatto eleggere - osservò un po' sconsolato: non è che io sia vecchio, ma lui è il nuovo. Capiva di essere bersaglio del nuovismo del tempo e metteva a verbale il suo scetticismo, se non anche la sua disapprovazione.Era un uomo severo, gentile ma privo di compiacenze. Un giorno al congresso della Dc barese l'onorevole Matarrese, appena eletto deputato, reclamò tre posti per la sua corrente negli organi provinciali del partito. Moro lo prese da parte e offrendogli un posto, uno solo, gli disse: le cose si fanno con calma, come insegna la Chiesa. Prima si è parroci in una chiesetta, poi si trova una parrocchia più grande, poi si diventa vescovi, poi forse cardinali e poi forse addirittura Papi. Ma sempre un passo alla volta.Al congresso di Napoli, quando c'era da convincere la Dc dell'apertura a sinistra - correva l'anno 1962 - parlò per sette ore. La trascrizione integrale della sua relazione si compone di 124 mila caratteri. Non proprio il dono della sintesi, anche se mancava ancora mezzo secolo all'avvento di twitter.Quando un giornalista gli chiese se poteva disporre di una sintesi del suo intervento gli fece sapere che la sintesi più appropriata era la pubblicazione del testo integrale. Una battuta al limite dell'arroganza, se vogliamo. Che però rifletteva anche il suo perfezionismo politico e letterario.Moro odiava la fretta. Non perché fosse pigro, tantomeno svogliato. Ma perché secondo lui ogni passaggio della politica richiedeva la sua maturazione. Conosceva il suo paese, conosceva il suo partito. Ne scrutava le paure, le fragilità, gli sbandamenti. Si cimentava con un'Italia attraversata da "passioni forti" e presidiata da "strutture deboli". E proprio il conflitto tra la forza delle passioni e la debolezza degli argini che avrebbero dovuto contenerle e indirizzarle verso uno sbocco era il suo cruccio. E insieme la ragione di quel suo procedere apparentemente incerto e tortuoso.Soffriva l'attivismo di altri capi democristiani. Il dinamismo di Fanfani, per cui pure provava rispetto. L'inquietudine di Piccoli. L'assertività di Taviani. Le ansie dei più giovani cultori di una modernizzazione a cui credeva poco. La sua attualità stava per così dire nella fatica quasi estenuante con cui faceva maturare le svolte. Ma quei percorsi avevano appunto bisogno di fare appello a tecniche fin troppo raffinate e a modalità improntate a un'infinita, pedagogica pazienza. Era questo il suo ruolo, e questa la sua vocazione.Quando condusse la Dc all'approdo della solidarietà nazionale impiegò ore ed ore a "confessare" i singoli deputati. Li incontrò ad uno ad uno, li ascoltò diligentemente, li convinse dedicando a ognuno di loro un tempo inusitatamente lungo. Un tempo che strideva con le gerarchie dell'epoca, e forse anche con l'intimo giudizio che Moro dava di molti di loro.Nella sua pedagogia politica l'ascolto valeva più dello sforzo di convinzione, non dirò della propaganda. Interrogava i suoi interlocutori con una pazienza infinita, e anche con una viva curiosità. A distanza di anni ho cercato di ricordare alcuni dei nostri colloqui, e mi sono accorto che avevo parlato più io di lui.Era complicato, elaborato, niente affatto alla moda -neppure secondo i canoni, non proprio fulminei, dei suoi tempi. Eppure arrivava a destinazione. Era tutt'altro che ondivago. Infatti, le grandi svolte della politica italiana, dal centrosinistra alla solidarietà nazionale, maturarono tutte sotto la sua accorta regia. E perfino i grandi movimenti di contestazione giovanile trovarono proprio in quel notabile apparentemente così attempato il loro interlocutore più attento, disponibile e costruttivo.Insomma, il passo lento e calibrato di Moro portava sempre da qualche parte. Forse sarà il caso di farlo presente ai giovanotti trafelati che governano a passo di carica la più recente politica del nostro paese.